sabato, Dicembre 14

Giacomo Boni, un veneto pioniere della moderna archeologia.

Giacomo Boni nacque a Venezia il 25 aprile (avril in lengua veneta) del 1859 da una famiglia umile di origini cadorine, anche se contrastanti sono le notizie sul preciso luogo di nascita. Probabilmente si tratta della città di Feltre.

Passò la sua infanzia e la sua giovinezza nella città di Venezia, città che lui considerava una “madre”, e che amava per il grande patrimonio artistico e che fin da subito sentì l’esigenza di riscoprire archeologicamente. L’occasione per iniziare a “scavare” tra i resti artistici arrivò nel 1873 quando fu assunto dall’azienda dell’Ingegner Cadel per lavorare nei cantieri aperti per il restauro del Palazzo Dogale.

Gli anni della gioventù

Dopo questa prima esperienza “adolescenziale”, Giacomo Boni frequentò l’Accademia di Belle Arti dal 1880 al 1884, conseguendo il titolo di architetto. Ma la sua vera vocazione era l’archeologia, lo scavo della storia antica, se non della protostoria e della preistoria. La sua intima convinzione era che Venezia custodisse al di sotto del livello urbano, una serie di insediamenti di età romana.

Il 1885  fu l’anno in cui “portò”  in Piazza San Marco la sua vera vocazione archeologica, e la sua intuizione che nasceva dall’agire secondo proprie convinzioni costruite sul campo, un tratto tutt’altro che sconosciuto per il carattere del Veneto e dei veneti.

La sua intuizione più grande nell’archeologia fu quella dello “scavo stratigrafico”, che significa in buona sostanza riuscire ad individuare quanti e quali sono le epoche preistoriche, protostoriche e storiche, che interessano un certo territorio dove si vuole intervenire per rinvenire tracce, resti, testimonianze, soprattutto reperti, riuscendo a distinguere come nelle varie epoche si sono strutturate, hanno dato vita e sostanza a precisi momenti e fatti storici che l’archeologo ha il compito di indagare, recuperare, decodificare, interpretare, ricostruire, per sapere cosa è successo nel passato, e poi raccontarlo al mondo intero.

Il 1885

Il 1885 fu un anno quantomeno significativo sotto molti punti di vista per Giacomo Boni e anche per l’archeologia e la storia in genere. Boni riuscì ad effettuare un sondaggio geo-archeologico sull’area della Piazza di San Marco, a partire dai “simboli” della piazza, e di Venezia tutta: il Campanile di San Marco, la Basilica di San Marco, varie porzioni di Piazza, cioè riuscì ad esplorare il sottosuolo di Venezia dove, ricordiamolo, il Boni era convinto esistessero resti di insediamenti di epoca romana.


Fu un primo tentativo di applicare un metodo nuovo e rivoluzionario per l’archeologia di allora ( “l’archeologia stratigrafica”), e Venezia, con i suoi simboli, ne fu protagonista assoluta.
N.B. Da qualche parte si è insinuato che il lavoro di sondaggio e scavo effettuato nel 1885, abbia in qualche modo influito successivamente sul crollo del Campanile di San Marco avvenuto 17 anni dopo, il 14 luglio 1902.

Nei lavori del 1885 lo aiutò l’architetto statunitense Clarence Blackall, vincitore di una borsa di studio che lo portò a viaggiare in quegli anni per l’Europa, e a diventare successivamente un architetto di primaria importanza nella progettazione e realizzazione di teatri in America. Suo è il progetto per il Teatro Metropolitan di New York, città dove era anche nato nel 1857.

Giacomo Boni a Roma

Per quanto riguarda Giacomo Boni, la sua carriera ebbe una svolta nel 1888(e non per tutti può essere una svolta positiva), quando lasciò Venezia(che lui considerava una madre), per andarsene a Roma(che lui considerava una nonna), a lavorare per la Direzione centrale per gli scavi e i musei del Regno, istituita nel 1875 dal Ministro dell’Istruzione Ruggiero Bonghi.

Ricoprendo questo incarico, nel quale ebbe come collega A. Venturi, il Boni ebbe modo di condurre numerose esplorazioni artistiche e di restauro e, quindi, di conoscere personalmente le molteplici e gravi necessità che richiedeva la conservazione dei monumenti italiani. Di ciò che poté constatare nelle diverse regioni italiane, dei suoi giudizi sullo stato dei monumenti e su ciò che era opportuno fare per essi rimane traccia nelle sue lettere al Webb, oltre che nei suoi appunti e nelle sue relazioni.

A Roma il Boni entrò presto in contatto con il vario mondo intellettuale che si dava soprattutto convegno nei salotti del cardinale G. A. Hohenlohe-Schillingsfürst e di E. Lovatelli-Caetani e si iniziò allo studio della storia e dei monumenti romani. Nel 1892 partecipò con L. Beltrami e con G. Sacconi alle ricerche archeologiche intorno al Pantheon. Fra il 1895 e il 1896 resse l’ufficio regionale dei monumenti di Roma. Nel 1898 il ministro della Pubblica Istruzione Baccelli lo propose per la direzione degli scavi del Foro romano.

Le scoperte archeologiche della Roma Imperiale

Si iniziò così quell’attività di ricerca nell’area del Foro che, con l’esplorazione successiva del Palatino, doveva rimanere il risultato maggiore e l’espressione più caratteristica di tutta quanta l’opera di ricerca di Giacomo Boni. Gli scavi che si cominciarono in quel periodo si devono considerare l’inizio di uno studio della storia antica con gli strumenti e i risultati della moderna archeologia.

I problemi di mappatura della zona forense erano ormai risolti, ma gli scavatori del secolo XIX non erano scesi oltre i livelli dell’età imperiale. Boni intuiva l’esistenza di più antichi ruderi, avanzi della vita primitiva dell’Urbe. Nel ’98  scoperse l’ara di Cesare e la favissa (deposito votivo) dell’Aedes Vestae (foto sotto).

Nel gennaio del 1899 la scoperta del Lapis Niger attirò sui nuovi scavi l’attenzione del mondo. Sotto la platea marmorea apparve nel maggio successivo la famosa iscrizione bustrofedica, oggetto d’interpretazioni variatissime ancor oggi discusse (foto sotto).

 Nell’estate dello stesso anno il Boni ripose in luce l’iscrizione di Lucio Cesare e il sacello di Venere Cloacina; il muro settentrionale e i sacrarî della Regia; il pavimento del Clivus Capitolinus; l’area del tempio dei Dioscuri con preziosi frammenti decorativi. Dal gennaio 1900 al giugno 1902 gli scavi furono estesi a tutta l’area del Foro e della Velia.

Nell’aprile del 1902 il Boni, trovò la prima tomba a cremazione (i corpi dei defunti venivano bruciati), presso il tempio di Antonino e Faustina: nel luglio un intero sepolcreto tornò in luce, con tombe a inumazione e a cremazione. Ripresi gli scavi, dopo un soggiorno a Venezia per lo sgombero delle macerie del campanile e il restauro di varî monumenti veneziani, gli scavi continuarono fino al 1907 per tutta l’estensione del Foro.

A questo proposito  Giacomo Boni applicò, prima di Dörpfeld, nel campo dell’archeologia classica il metodo dello scavo stratigrafico, per cui dettò norme tuttora valide nella Nuova Antologia del 16 luglio 1901. Dal 1907 il suo raggio d’azione per gli scavi di ricerca si ampliò al Palatino (era stata la residenza dell’Imperatore Ottaviano Augusto).

Boni e il fascismo

La sua opera continuò fino allo scoppio della I^ Guerra Mondiale, momento in cui fu chiamato al fronte nel 1915, ed in pratica vedendo un deciso declino della sua opera di ricerca archeologica, anche in seguito ad una malattia contratta nel 1916, di ritorno dal fronte. Di fronte alla marcia su Roma si dimostrò cauto, limitandosi a generici inviti alla calma e alla riflessione, ma poi la sua fu una adesione quasi forzata quando, il 3 Marzo del 1923, fu nominato Senatore del Regno a vita.

Il 27 Aprile dello stesso anno votò la fiducia al Governo Mussolini, capace in quel momento di raccogliere attorno a sé molte importanti personalità dell’epoca (vedi Giovanni Gentile, il filosofo del neoidealismo). Fu consulente storico-culturale per il Partito Fascista e per esso disegnò il fascio littorio come riproposto nella foto di seguito, su richiesta del gerarca Luigi Federzoni.

Immagine ripresa da slide recuperate e scaricate dal sito archeologia metodologie.com  

Giacomo Boni morì a Roma il 10 luglio 1925. La sua importanza per lo sviluppo dell’archeologia e dei suoi scavi stratigrafici, è fuori di dubbio.



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