Nel 1985 Alberto Moravia ha 78 anni, circa 60 anni prima, aveva scritto “Gli indifferenti” forse il suo romanzo-feticcio che lo impone agli occhi della critica. Autore molto prolifico, da tempo uno dei suoi temi ricorrenti è il sesso e le sue implicazioni nella psiche degli esseri umani.
Quell’anno esce quello che sarà il suo terz’ultimo romanzo “L’uomo che guarda” un viaggio nel mondo oscuro e ammaliante dei sensi.
E’ la storia di Dodo, un marito voyeur e di sua moglie, la spregiudicata Silvia:
” Dodo un bell’uomo sui trentacinque anni, ma non (…) un uomo bello”. Tranne qualche rara eccezione, le sue giornate si svolgono così: si alza la mattina molto presto, si lava e rade, si veste da intellettuale, scende a comprare i giornali, risale in casa e prepara la colazione per suo padre, professore universitario anche lui ma di Fisica, “un uomo bello ma non un bell’uomo” costretto a letto dai postumi di un incidente stradale. Alle 8 arriva il fisioterapista e Dodo ne approfitta per uscire. Dopo una veloce colazione al bar (perché non faccia colazione assieme al padre se lo domanda anche lui ogni santo giorno), prende l’automobile e si reca all’università. Alle 13 è già a casa: la sua ben remunerata giornata di lavoro è finita. Pranza con il padre e la moglie Silvia su di un tavolinetto poggiato sul letto dell’infermo, poi va a fare un riposino con lei nella loro camera in fondo al corridoio tappezzato di libri e spesse volte finisce che fanno l’amore, sempre con lei sopra e Dodo sotto. Un’oretta di siesta e poi Dodo ama fare una passeggiata fino al Lungotevere: da lì contempla sempre la cupola di S. Pietro, fantasticando ogni volta su un’esplosione nucleare, e a volte spia con interesse una donna di colore che abita nei pressi. Dalle 17 all’ora di cena Dodo sta in casa da solo. Silvia esce sempre con le amiche, il padre riceve la visita di donne anziane o mature che Dodo intuisce essere state sue amanti o esserlo ancora. Probabilmente durante queste visite succede sfuggevolmente anche qualcosa di sessuale, ma lui può solo intuirlo perché se ne sta all’altro capo dell’immenso appartamento di Prati ad ascoltare musica classica, a leggere, a rimuginare, a sonnecchiare. Alle 21 va a cena a ristorante con Silvia, spesso dal cinese vicino casa: suo padre intanto mangia con l’infermiera, una giovane formosa dai capelli cortissimi. Mentre Dodo si ingozza di pollo e germogli, Silvia parla, parla, parla… Dopo cena i due vanno sempre al cinema e se non hanno fatto l’amore durante il riposino pomeridiano Silvia immancabilmente approfitta del buio della sala per masturbare il marito o praticargli un pompino: la donna pare pensare che non deve passare giorno senza rapporto sessuale”.
Autore quasi di culto tra gli anni sessanta e settanta dello scorso secolo Moravia attraversa una fase in cui pare dimenticato e sottovalutato e merita una riscoperta anche non attraverso un capolavoro assoluto quale “L’uomo che guarda”, dove però sono presenti temi che toccano il nostro intimo e le nostre angosce come, in questo caso, il sesso osservato più che praticato e la paura del nucleare, che proprio negli anni ottanta aveva visto un’inquietante recrudescenza dovuta al confronto USA-URSS.