Nel 1981 Steven Spielberg era insoddisfatto. Nonostante avesse messo al lavoro venti tra i migliori artisti concettuali per la realizzazione del piccolo alieno che sarebbe stato il protagonista del suo “ET l’extraterrestre” nessuna delle idee proposte lo convinceva.
Chiamò allora l’italiano Carlo Rambaldi che aveva già lavorato con lui in “Indontri ravvicinati del terzo tipo” che chiese nove mesi per realizzare il progetto.
Spielberg gliene concesse sei.
E fu cosi che nacque ET. Un piccolo alieno, basso, tarchiato, rugoso, pelato, dalla pelle marrone, con una grande testa, collo periscopico, braccia simili a quelle umane, mani con quattro dita, gambe cortissime, piedi con tre dita e un cuore bioluminescente.
La testa era lunga circa mezzo metro e veniva controllata da dodici uomini; un modello elettronico, azionato da controlli radio, usato nei primi piani, per poter conferire una vasta gamma di espressioni facciali; una tuta a grandezza naturale, usata dai nani.
Il successo del film fu planetario, basti dire che a fronte di un budget di spesa di circa 10,5 milioni di dollari (una bella somma per l’epoca), ne incassò qualcosa come oltre un miliardo di dollari in tutto il mondo.
ET però non rappresenta l’eccezione nella rappresentazione degli alieni cosi’ come si augurava il grande regista americano.
Il cinema di fatto ha sempre rappresentato gli alieni, o perlomeno nella stragrande maggioranza dei casi, come umanoidi, insettoidi o umanoidi a forma di insetti.
Insomma diamo per scontato che gli alieni ci somiglino molto. Lo facciamo a volte per ragioni di budget ma molto più spesso per un eccesso di antropocentrismo.
Nella saga di Star Trek gli sceneggiatori hanno risolto il problema incollando un po’ di gomma sulla faccia degli attori (vedi i Klingon) oppure colorando la loro epidermide di verde, giusto per segnalare la loro provenienza extraterrestre.
Stessa sorte per l’universo di Guerre Stellari ed il celebrato blockbuster Avatar, dove il massimo dello sforzo è stato ideare umanoidi molto alti, con la faccia da gatto, una lunga coda e la pelle blu.
Pensare che in un altro mondo l’evoluzione abbia prodotto una specie senziente simile alla nostra è sciocco oppure arrogante.
L’alieno di ET, ma anche di Incontri ravvicinati del terzo tipo e di molti altri film di fantascienza reinterpretano la stessa tipologia di extraterrestri: i Grigi, umanoidi intelligenti, con corpi affusolati, grandi occhi e grosse teste, quasi a sottolineare la loro superiorità intellettuale e culturale sulla razza umana.
Eppure se mai riusciremo ad identificare l’esistenza di vita aliena, molto probabilmente essa sarà di tipo unicellulare, un po come batteri e virus che popolano il nostro pianeta.
Organismi che i film di fantascienza usano talvolta, ma per contrastare la classica invasione aliena come nella “Guerra dei mondi” dove ci salvano dallo sterminio facendo ammalare e morire i cattivi invasori.
L’altra categoria che la fa da padrona, soprattutto quando vogliamo sottolineare, l’alienità della vita extraterrestre è quella degli insettoidi o degli artropodi in generale.
Da “Starship Toopers” ad “Independence Day”, da “District 9” a “Men in Black” il cinema ci propina la stessa rappresentazione degli alieni, sia che essi svolgano la funzione di malvagi invasori che di razza discriminata ed oppressa come in “District 9”.
Nel 1979 con “Alien” ed i suoi successivi sequel, ci troviamo di fronte ad un insettoide con vaghe fattezze umane. L’alieno è interpretato da un attore nigeriano alto 2,18 metri che indossa il costume di xenomorfo che come sappiamo termina con un pungiglione dalle fattezze falliche.
Nonostante si tratti fondamentalmente di un uomo in costume almeno la base scientifica di questi letali xenomorfi è abbastanza credibile, trattandosi fondamentalmente di parassiti. In natura abbiamo esempi di comportamenti parassitari ancora più feroci e crudeli di quelli rappresentati da “Alien”.
Forse uno dei modi migliori per rappresentare gli alieni nei film di fantascienza è ….non mostrarli, come avviene per altro nel magnifico “L’invasione degli ultracorpi” (1956) dove gli esseri venuti dallo spazio si impossessano dei corpi umani per i loro subdoli fini.
In alternativa rendere l’alieno un rompicapo, incomprensibile come ad esempio nel film Solaris sia nella versione russa che in quella di Soderbergh.
In conclusione c’è da augurarsi che astrofisici ed astrobiologi si affranchino concettualmente da come la vita aliena viene rappresentata dal cinema, perchè semmai saremo in grado in un futuro di incontrarla, dovremo essere in grado di riconoscere qualcosa di molto diverso da noi.