Viaggio in un atomo d’oro. Conoscete quel celebre film di fantascienza “Viaggio allucinante” (titolo originale Fantastic Voyage) del 1966 diretto da Richard Fleischer?
La trama condizionata dal clima di guerra fredda del tempo è semplice: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica hanno sviluppato contemporaneamente una tecnologia che permette di ridurre le dimensioni di qualunque oggetto materiale a dimensioni anche microscopiche ma per una durata limitata di 60 minuti.
La Bantam Books commissionò a Isaac Asimov la scrittura di un romanzo omonimo a partire dalla sceneggiatura del film. Il libro uscì però sei mesi prima della pellicola e per questo viene ritenuto erroneamente che il film sia tratto dal racconto di Asimov.
Uno scienziato di nome Jan Benes, operante oltre la cortina di ferro, ha scoperto come estendere illimitatamente la persistenza del processo. Con l’aiuto della CIA, Benes riesce a fuggire in Occidente ma rimane gravemente ferito in un attentato. Ridotto in stato di coma da un embolo cerebrale, verrà sottoposto a un intervento chirurgico dal governo statunitense desideroso di salvarlo per poter venire a conoscenza delle nuove scoperte sulla miniaturizzazione persistente
Per eseguire questo delicatissimo intervento chirurgico allo scienziato padre di questa straordinaria scoperta un gruppo di scienziati e esperti entra in un sottomarino che viene miniaturizzato alle dimensioni di una cellula e iniettato nell’arteria carotidea del corpo dello scienziato. Inizia qui un viaggio fantastico all’interno del corpo umano.
Ebbene immaginiamo di essere miniaturizzati a dimensioni enormemente più piccole di una cellula e di penetrare all’interno di un atomo d’oro.
Mentre ci dirigiamo verso il nucleo dell’atomo molte perle di luce appaiono e scompaiono tutto intorno a noi, a conferma che il centro verso cui siamo diretti è elettricamente carico e sconfessando la teoria che tra gli elettroni di un atomo e il suo nucleo ci sia soltanto il niente. Tuttavia non siamo preparati alla distanza immensa che separa l’elettrone dal suo nucleo.
Finalmente giungiamo in prossimità del nucleo dell’atomo d’oro. La sua forma è indistinta ma possiede una massa. Ed è pesante. Molto più pesante dell’elettrone, circa 1836 volte. E possiede una carica, di segno opposto a quello dell’elettrone. Questa carica è chiamata protone. È più grande dell’elettrone ma rispetto alle dimensioni complessive dell’atomo è molto piccolo.
Lo scoprì nel 1911 Ernest Rutheford, un fisico inglese di origini neozelandesi. Rutheford che tre anni prima aveva vinto il Premio Nobel per la Chimica per le sue ricerche sulla radioattività non poteva sapere, che a differenze dell’elettrone, il protone non è una particella elementare. Con il nostro vascello miniaturizzato ci immergiamo nel protone e subito veniamo schiacciati da una forza spaventosa.
Una forza più potente dell’elettromagnetismo e della gravitazione. Mentre siamo sballottati da questa forza terribile intravediamo particelle che appaiono e scompaiono. Queste però non sono fotoni virtuali ma i mediatori di una forza che insieme al campo quantico a cui appartiene tiene insieme tutta la materia dell’universo. Senza questa forza tutto quello che conosciamo scomparirebbe istantaneamente. Compresi noi.
Le particelle virtuali che trasportano questa forza incredibile sono i mediatori di forza della cosiddetta interazione forte. Ecco che scorgiamo le particelle su cui questa forza opera, sono pesanti, ondeggianti. Il loro è un nome bizzarro: quark. Ogniqualvolta che uno di questi quark cerca di allontanarsi dagli altri, i mediatori dell’interazione forte, in modo efficiente e irresistibile li riportano all’ordine, vicini gli uni agli altri. Per i tre quark che vivono dentro un protone è un po’ come essere in gabbia, in prigione.
I mediatori che li tengono insieme fanno parte del campo quantico dell’interazione forte. Sono cosi’ efficienti nel loro lavoro di tenere insieme i quark che gli scienziati li hanno chiamati gluoni, dal termine inglese glue, colla.
Quark elementari e gluoni coinvolgono circa il 99,97 per cento della massa del nostro corpo. Se una persona dal peso di circa 60 chili perdesse tutti i suoi quark ed i suoi gluoni, il suo peso si ridurrebbe a 18 grammi. Ed ovviamente morirebbe.
I quark paradossalmente sono liberi di agire come vogliono quanto più vicini sono gli uni agli altri. Per questa singolare peculiarità, tre scienziati americani Gross, Politzer e Wiltczek hanno vinto il Nobel nel 2004. Nel campo dell’interazione forte ci sono sei diversi tipi di quark, soltanto due però si trovano nel nucleo dell’atomo i cosiddetti quark down e quark up. Ci sono due quark up ed un quark down in tutti i protoni dell’universo.
Ma i protoni non sono l’unica gabbia dove sono confinati i quark. Riprendendo il viaggio di ritorno con il nostro vascello miniaturizzato abbiamo contato nell’atomo d’oro 79 elettroni e 79 protoni, tra essi ci accorgiamo che esistono altre sfere raggrinzite, senza carica, che separano i protoni: sono 118. Elettricamente neutri queste “sfere” sono chiamate, per l’appunto, neutroni.
Anch’essi sono prigioni per quark, soltanto che in ogni neutrone troviamo due quark down per uno up. Ma cosa permette la stabilità del nucleo? Cosa impedisce ai protoni che hanno la stessa carica di respingersi? Il merito è di un’altra forza: la nucleare forte.
Adesso è giunto il momento di arrestare il nostro viaggio e tornare alle nostre confortanti dimensioni.
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