E’ soltanto da circa un secolo che la scienza ha accertato (e accettato) l’esistenza degli atomi. Sembra incredibile se pensiamo che già nella Grecia antica filosofi e scienziati come Leucippo, Democrito ed Epicuro sostenevano che tutta la materia fosse costituita da atomi (che in greco significa appunto indivisibile).
Democrito propose la “teoria atomica”, secondo cui la materia è costituita da minuscole particelle, diverse tra loro, chiamate atomi, la cui unione dà origine a tutte le sostanze conosciute. Queste particelle erano la più piccola entità esistente e non potevano essere ulteriormente divise: per questo erano chiamate atomi.
Grande oppositore degli atomisti fu Aristotele che invece sosteneva che tutte le cose del mondo potevano essere divise all’infinito in particelle uguali fra loro.
Dobbiamo aspettare il XIX secolo quando John Dalton, chimico, fisico ed insegnante inglese, recupera la teoria di Democrito, rielaborandola ed aprendo la strada alla teoria atomica moderna.
Ci vorrà però ancora un secolo per fare chiarezza e far accettare a tutta la comunità scientifica internazionale l’esistenza (e la struttura) dell’atomo.
Un ruolo essenziale lo ha ricoperto il neozelandese Ernest Rutheford. Nel 1895 Rutheford si trasferisce in Inghilterra per studi post-laurea presso il Laboratorio Cavendish, dell’Università di Cambridge e nei tre anni di permanenza, rimane affascinato dalla radioattività e scopre tre tipi differenti di radiazione che chiamerà “alfa”, “beta” e “gamma”. Al giorno d’oggi ovviamente ci riferiamo ai raggi alfa e beta come particelle e non come raggi.
Nei primi dieci anni del 1900 Rutheford riusci’ a dimostrare che la crosta terrestre era vecchia di miliardi di anni. Può sembrare incredibile ma fino a Rutheford una parte non irrilevante degli scienziati, anche per un senso di sudditanza verso la Chiesa, accettava che l’età del nostro pianeta fosse quella descritta dall’Antico Testamento ovvero qualche migliaia di anni.
Qualche anno dopo Rutheford fu il primo scienziato a realizzare il sogno di ogni alchemista – la trasmutazione – ovvero la trasformazione di un elemento in un altro.
Con la scoperta delle particelle alfa il grande scienziato neozelandese si rese conto di avere in mano un formidabile strumento per studiare la struttura atomica.
Nel 1911, due suoi assistenti Geiger e Marsden fecero una serie di meticolosi esperimenti proiettando fasci di particelle alfa verso una sottilissima lamina d’oro. Sebbene la lamina fosse spessa decine di migliaia di atomi il fascio di particelle alfa la trapassava tranquillamente senza apprezzabili modificazione nella loro traiettoria.
Questo significava che gli atomi erano in gran parte fatti di spazio vuoto. La cosa più incredibile era che soltanto una particella alfa su 8.000 rimbalzava tornando indietro.
Rutheford si rese conto che questi risultati contrastavano con la struttura atomica a panettone teorizzata da Thompson.
Il solo modo per spiegare le osservazioni sperimentali era che tutta la carica positiva fosse concentrata in un volume piccolissimo cosi da massimizzare il suo effetto. La maggior parte della particelle alfa avrebbe cosi mancato il “bersaglio” e soltanto pochissime centrandolo sarebbe state respinte indietro.
Rutheford propose di chiamare questa concentrazione piccolissima di carica positiva “nucleo atomico” e propose un nuovo modello di struttura atomica consistente quasi interamente di spazio vuoto con un piccolissimo nucleo al centro circondato da elettroni orbitanti più piccoli.
Fu a questo punto che nel 1912, un giovane Niels Bohr, andando a lavorare con il grande Rutheford applicò per primo la teoria quantistica di Planck al modello atomico planetario di Rutheford per spiegarne la stabilità in anticipo sulla meccanica quantistica che fu pienamente sviluppata circa dieci anni dopo.