Raccontare la guerra è molto difficile. E’ difficile perché rappresentare l’orrore è qualcosa che rende l’uso delle parole inadeguato. E’ difficile perché in tempo di guerra governi e comandi militari attuano un mix di censura e propaganda che inquina e spesso minimizza la tragicità dei fatti, il loro impatto anche su civili e innocenti.
E’ difficile anche per un certo conformismo dei corrispondenti di guerra che pure non di rado rischiano in prima persona per essere presenti sui teatri dei conflitti.
Quando però a svolgere questa funzione delicata di informare la pubblica opinione, per quanto possibile, della crudezza reale dei fatti e degli avvenimenti è un reporter che è anche un grande scrittore allora riusciamo a percepire cosa significhi la guerra per chi ne è coinvolto, sia dal punto di vista esistenziale che più prosaicamente umano.
E’ il caso ad esempio di C’era una volta una guerra scritto dal grande giornalista e scrittore americano John Steinbeck e pubblicato per la prima volta, soltanto nel 1958.
Steinbeck nato a Salinas nel 1902, esponente di spicco della cosiddetta generazione perduta, Premio Nobel per la Letteratura nel 1962, autore di capolavori quali Pian della Tortilla, Uomini e topi, Furore e La valle dell’Eden, fu anche un grande giornalista e nel 1943, mentre la Seconda Guerra Mondiale infuriava, lavorava per il New York Herald Tribune che lo inviò come corrispondente di guerra, per sei mesi, al seguito delle forze armate statunitensi prima nel sud dell’Inghilterra, poi in Algeria durante i preparativi per lo sbarco a Salerno, e quindi a seguito delle truppe d’invasione nella penisola.
Steinbeck scrisse una lunga serie di reportage che pur senza citare luoghi e nomi per comprensibili ragioni di sicurezza riuscirono ad offrire uno spaccato unico della guerra vista dai diretti protagonisti. Più di dieci anni dopo il grande scrittore decise di ripubblicare questi articoli in un volume unico, senza modificare i testi, né correggerli e neppure inserire particolari inediti, in quanto solo riproporli fedelmente avrebbe potuto regalare al lettore la spontaneità e l’autenticità di questi racconti. Spontaneità che trapela sia negli eventi tragici legati alla guerra, sia durante gli eventi quotidiani, a volte quasi comici e spesso ironici, della vita di caserma e della vita ordinaria delle popolazioni e dei soldati con cui l’autore venne in contatto.
L’intenzione di Steinbeck era quella di coltivare, soprattutto per le giovanissime generazioni, il ricordo di una guerra devastante che sembrava allontanarsi dalle coscienze dei più.
C’era una volta la guerra ha il pregio di farci partecipe non soltanto della drammaticità e della crudeltà della guerra, ma delle disperata ed a volte quasi umoristica ricerca della normalità in un mondo sconvolto dall’orrore.
Una lettura anche oggi avvincente ed istruttiva.
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