Quando nel 2014 un razzo ha lanciato il quinto e sesto satellite del sistema di navigazione globale Galileo, la risposta da 11 miliardi di dollari dell’Unione Europea al GPS degli Stati Uniti i tecnici e gli scienziati del progetto non sapevano di andare incontro al fallimento della missione e ancora meno potevano immaginare che da questo insuccesso sarebbe scaturita l’ennesima conferma della validità della relatività generale di Einstein.
I due satelliti invece di essere collocati in orbite circolari ad altitudini stabili, erano rimasti bloccati in orbite ellittiche, inutili per la navigazione. Due team indipendenti, una dell’Osservatorio di Parigi e l’altro dell’Università di Brema hanno pensato di sfruttare le strane orbite dei due satelliti Galileo, che “salivano e scendevano” di 8500 km due volte al giorno per misurare il cosiddetto redshift gravitazionale.
La teoria di Einstein prevede che il tempo passi più lentamente in prossimità di un oggetto massivo e quindi un orologio sulla superficie terrestre dovrebbe ticchettare più lentamente rispetto a uno su un satellite in orbita. Sfruttando gli orologi atomici super precisi installati sui due satelliti Galileo i ricercatori hanno pertanto misurato il redshift gravitazionale.
In un precedente test sul redshift gravitazionale – condotto nel 1976, quando il razzo suborbitale Gravity Probe-A fu lanciato nello spazio con un orologio atomico a bordo – i ricercatori avevano osservato che la relatività generale prediceva lo spostamento di frequenza dell’orologio con un’incertezza di 1,4 × 10 alla -4.
La nuova misurazione ha aumentato la precisione di un fattore 5,6. Per l’ennesima volta le prove sperimentali hanno dato ragione alla teoria di Einstein sulla gravitazione.