sabato, Luglio 27

Il killer degli oceani

Il killer degli oceani non è un predatore marino, ma un elemento prodotto dall’uomo e dall’uomo, criminalmente disperso senza ritegno nell’ambiente marino: la plastica.
La drammaticità della situazione si può osservare in tutta la sua spaventosa pericolosità nel cosiddetto Vortice subtropicale del Nord Pacifico, un tratto di oceano grande come il Texas che si estende dalle Hawaii alla California caratterizzato da un lento e perenne vortice di alta pressione di aria equatoriale che trattiene il vento senza rilasciarlo.
Quest’area ha anche un nome più desolato e sinistro la Grande Chiazza di Immondizia del Pacifico. In quel tratto di mare, grazie al gioco delle correnti, viene attratta l’immondizia scaricata in mare da più della metà delle nazioni che si affacciano sul Pacifico.
Navigare in quel tratto d’oceano e come navigare in un’enorme discarica galleggiante dove la fa da padrona la plastica.
Secondo calcoli che risalgono al lontano 1975 tutte le imbarcazioni oceaniche scaricano in mare, ogni anno, 5 milioni di chili di materiale plastico. I polimeri rilasciati dalle navi sono però una parte irrisoria di quelli che provengono dalla coste. La plastica visibile che inquina il Vortice del Nord Pacifico è solo una parte di quella presente, molti altri polimeri si sono incrostati con alghe e cirripedi al punto di affondare.
Anche se non con la spaventosa concentrazione del Vortice la plastica in mare è presente in gran parte degli oceani e dei mari del pianeta. Cosa significa questo per l’ecosistema marino ed in proiezione per la Terra stessa?
Questa concentrazione è il prodotto di soli 50 anni di vita umana, ovvero dall’industrializzazione dei processi produttivi della plastica.
Per capire la bomba ad orologeria sulla quale siamo seduti noi e soprattutto le future generazioni, analizziamo i Pcb, gli estremamente tossici policlorobifenili, banditi fin dal 1970. Tra i tanti effetti tossici dei Pcb si è scoperto che producevano casi di ermafroditismo tra pesci ed orsi polari. Ebbene le emissioni di Pcb sversate nei mari prima del 1970 rilasceranno i loro effetti perniciosi ancora per secoli e secoli.
Nel mondo esistono altri sei vortici come quello del Nord Pacifico ed anche gli altri presentano la stessa drammatica invasione di rifiuti e di plastica in particolare.
La prognosi per l’invasione oceanica dei polimeri è a lunghissimo termine. Infatti la plastica ha una grande resilienza ai processi disgregativi, in altri termini, come tutti gli idrocarburi anche la plastica è biodegradabile ma il suo ritmo è incredibilmente lungo da non avere conseguenze pratiche rilevanti prima di svariati secoli.
Inoltre nell’acqua la plastica impiega molto più tempo a fotodegradarsi grazie all’effetto rinfrescante dell’acqua ed alla schermatura che le alghe effettuano sui raggi solari. Nell’ambiente marino non esiste nessun meccanismo in grado di biodegradare un polimero cosi lungo in tempo utile.
Insomma il tempo a nostra disposizione si sta esaurendo, salvare il male è salvare la stessa possibilità della vita sulla Terra, ma siamo ormai pericolosamente vicini al punto di non ritorno.

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