mercoledì, Maggio 29

La scoperta del parafulmine

Nei primi anni del Diciottesimo secolo non si sapeva molto dell’elettricità statica se non alcune esperienze concrete che venivano utilizzate da maghi ed illusionisti negli spettacoli. Nel 1730, ad esempio, un certo Stephen Gray sospese in alto un bambino con delle funi di seta e strofinandogli i piedi con palle di zolfo, riuscì a fargli emettere scintille dalla testa, con grande emozione del pubblico pagante.
Uno dei primi ad occuparsi dell’elettricità fu Benjamin Franklin (1706-1790), scienziato, scrittore e politico statunitense nato a Boston. Franklin fin dal 1746 contribuì allo studio dell’elettricità e dei suoi fenomeni, al punto da sfidare inconsapevolmente la morte. Infatti nel 1752 decise fece alzare in volo un’aquilone di seta durante una tempesta, nel tentativo di dimostrare che il fulmine era una forma di elettricità.
Franklin aveva collegato una chiave metallica all’aquilone cosa che aveva creato immediatamente una forte carica elettrostatica. La fortuna di colui che in America incarnava la figura dell’illuminista per antonomasia fu che nessun fulmine colpì l’aquilone, altrimenti sarebbe morto incenerito.
Il calore del fulmine infatti può raggiungere una temperatura superiore a quella della superficie del sole. L’esperimento dell’aquilone, da cui fortunatamente era uscito illeso, fece intuire a Franklin l’esigenza di scaricare l’elettricità statica a terra e propose pertanto verghe metalliche, dette poi parafulmini, per proteggere gli edifici.
Può sembrare paradossale ma inizialmente molte persone si opposero all’introduzione dei parafulmini e la Chiesa più di tutti, per essa, i fulmini erano una punizione divina contro i peccati mortali dell’umanità e non si doveva interferire con la volontà di Dio.
Nei primi anni del Settecento quando un fulmine colpiva una casa (quasi tutte costruzioni in legno) i pompieri non facevano niente per spegnere l’incendio, ma si limitavano ad intervenire per circoscriverlo ed impedire che il fuoco si propagasse alle abitazioni vicine.
La polvere da sparo veniva stoccata spesso nelle chiese perché si riteneva che quegli edifici sacri godessero di una speciale protezione divina contro i fulmini. Lo stesso Franklin fu oggetto di furiosi attacchi bigotti a causa della sua invenzione, che ad avviso di questi personaggi, si prestava a turlupinare il Creatore della sua giusta collera. Franklin ribatté argutamente che “proteggersi dai fulmini con un parafulmine non era più sacrilego, che proteggersi con un ombrello dalla pioggia”.
La parola fine all’ostilità verso i parafulmini fu, probabilmente, emessa dopo una spaventosa tragedia avvenuta a Brescia, nel 1767, quando a causa di un fulmine, esplose la torre-polveriera di San Nazaro, causando la morte di oltre 300 persone ed immense distruzioni.
Oggi i parafulmini svolgono efficacemente la loro azione, ma se siamo sorpresi da un temporale all’aperto sappiamo che non dobbiamo assolutamente rifugiarci sotto un albero. Infatti l’albero è costituito dal 20% di acqua ed il nostro corpo dal 65% ed un fulmine che centrasse l’albero sotto il quale ci siamo rifugiati seguirebbe il percorso di minor resistenza e prima di scaricarsi sul terreno passerebbe attraverso il nostro corpo con i disastrosi effetti immaginabili. Anche tende, collinette, piscine e spazi aperti non sono i luoghi ottimali per trovarsi durante un temporale, mentre un ottimo riparo dai fulmini è l’automobile purchè con i finestrini debitamente chiusi. Se siete a casa per sicurezza uscite dalla doccia (o dalla vasca da bagno), staccate il telefono fisso, state lontano dalle apparecchiature elettriche e spegnete il televisore.
E naturalmente non fate come Franklin, è meglio che lasciate a terra il vostro aquilone.

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