Uno studio pubblicato su Nature, Ecology ed Evolution ci descrive l’evoluzione del gatto domestico dal Neolitico ad oggi, evidenziando le profonde differenze con il cane, l’altro animale domestico per eccellenza.
Ad iniziare dal processo di domesticazione che al contrario del cane non ha alterato profondamente le caratteristiche morfologiche, fisiologiche, comportamentali ed ecologiche dei gatti.
Questo risultato è dovuto al fatto che il gatto domestico in tutto questo lunghissimo periodo ha continuato ad incrociarsi con diverse sottospecie selvatiche.
In origine il gatto si aggirava intorno agli insediamenti degli uomini in un rapporto di reciproco interesse, prima ancora che si avviasse il processo di domesticazione.
I gatti selvatici (Felis silvestris) erano diffusi in tutto il mondo fin dalla più remota antichità, vivendo, a fianco degli esseri umani per migliaia di anni, i gatti predavano i roditori attirati dal cibo degli umani, e gli esseri umani conservavano grazie alla loro azione meglio le proprie scorte alimentari. Solitario e territoriale il gatto selvatico, infatti, non si prestava facilmente alla domesticazione.
Delle cinque sottospecie selvatiche dei gatti (Felis silvestris silvestris, F. s. lybica, F. s. ornata, F. s. cafra e F. s. bieti), una sola è stata alla fine domesticata: F. s. lybica.
Proprio le continue ibridazioni del gatto domestico con le specie selvatiche ha fatto si che i caratteri oginari del gatto del Neolitico siano ancora sostanzialmente presenti nel nostro micione che dorme pigramente sul divano di casa.