La nostra stella è nel pieno della maturità con i suoi 5 miliardi di anni di vita, è composto principalmente da atomi di idrogeno che si fondono due a due in elio, liberando un’immensa energia nel processo.
Paradossalmente però quello che determina la natura e la vita di una stella è la concentrazione di elementi più pesanti che gli astronomi chiamano metalli. Una concentrazione sia pur minima di metalli condiziona in modo significativo il comportamento di una stella. Quanto più è metallica una stella, tanto più è opaca (poiché i metalli assorbono le radiazioni). E a sua volta l’opacità è collegata a dimensioni, temperatura, luminosità, durata del ciclo vitale di una stella e ad altre caratteristiche fondamentali degli astri.
Circa venti anni fa gli astronomi avevano attraverso misurazioni dirette ed indirette stabilito un contenuto di metalli del nostro Sole pari all’1,8%.
Questo dato è parzialmente entrato in crisi nei primi anni duemila, quando con misurazioni spettroscopiche sempre più precise della luce solare – un indice diretto della composizione del Sole, poiché nello spettro ogni elemento crea linee di assorbimento rivelatrici – hanno indicato una metallicità molto più bassa, di appena l’1,3 per cento. Il modello solare standard è così in qualche misura messo in crisi, anche se recentissime misurazioni attraverso l’esperimento Borexino ai Laboratori nazionali del Gran Sasso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, in Italia, ha rilevato neutrini solari che favoriscono lievemente la stima superiore dell’1,8 per cento della metallicità del Sole.
Occorrerà presto chiarire inequivocabilmente il tasso di metallicità del Sole perché se fosse confermata la stima del 1,3% la vita del nostro astro sarebbe accorciata di oltre un miliardo di anni e soprattutto andrebbe rivalutata l’intera comprensione dell’evoluzione stellare.