A metà degli anni Ottanta il mondo della fisica era in grande fermento, si respirava una febbrile aspettativa su quella che prometteva di essere la teoria unificante fino ad allora, a lungo ed invanamente cercata.
Fin dall’antichità, dai tempi di Democrito, ci si era chiesti quale fosse il punto indivisibile della materia, dagli atomi si era, con il tempo passati ai neutroni ed i protoni, e successivamente ai quark. Per il modello standard, confortato da molte osservazioni sperimentali, elettroni e quark erano piccolissimi oggetti puntiformi privi di dimensione spaziale. E su questo, entrava a gambe tese, la teoria delle stringhe.
Secondo la nuova teoria elettroni e quark non erano punti a dimensione zero ma sottili filamenti di massa/energia in perenne oscillazione. Le stringhe questi minuscoli filamenti non hanno spessore ma soltanto lunghezza e sono quindi oggetti unidimensionali, esse si manifestano come puntini microscopici perché sono talmente piccole da non essere individuabile sperimentalmente.
Tutte e dodici le particelle elementari che costituiscono i mattoni fondamentali della materia non sono altro che il prodotto di una diversa vibrazione della medesima ed unica stringa, un po’ coma la corda di un violino che vibrando in modo diverso produce per le nostre orecchie note diverse.
L’idea di fondo della prima rivoluzione delle stringhe è che una specifica vibrazione produce tutte le caratteristiche di una particella (massa, energia, spin etc.) fornendo una spiegazione elegante alla pletora di particelle elementari fin qui scoperte.
Lo stesso concetto valido per le particelle materiali si applica anche alle particelle mediatrici delle quattro forze presenti in natura. La teoria delle stringhe riusciva inoltre a riconciliare i due pilastri della fisica: relatività generale e meccanica quantistica.
Il gravitone, prodotto anche esso da una specifica oscillazione delle stringhe, ha una dimensione all’incirca della lunghezza della scala di Planck, ed essendo il costituente elementare del campo gravitazionale rappresenta anche il limite massimo di qualunque tipo di analisi.
Il principio di indeterminazione agisce su scale inferiori a quelle di Planck ed ecco risolto il principale contrasto tra le due teorie. Tutto risolto? Come spesso succede in campo scientifico si fanno due passi avanti ed uno indietro, come vedremo…..