Nel 1913 il grande romanziere tedesco, all’epoca trentottenne, ha da poco terminato e pubblicato il romanzo breve “La morte a Venezia”. Il suo matrimonio con Katharina Pringsheim (Katia), una giovane laureata in chimica, figlia del grande matematico Alfred Pringsheim e nipote della propugnatrice dei diritti della donna Hedwig Dohm, dalla quale avrà sei figli è entrato in una profonda e fredda crisi dopo la pubblicazione de “La morte a Venezia”.
Katia non ha impiegato molto a capire che il protagonista del romanzo Gustav von Aschenbach folgorato da un’infatuazione omossessuale per il giovanissimo Tadzio non è nient’altro che l’alter ego di Mann. Scriverà in seguito che l’idea della storia nacque durante una vacanza che fece nella primavera del 1911 con il marito a Venezia:
«Tutti i dettagli della storia, a partire dall’improvvisa apparizione del pittoresco straniero nel cimitero, sono frutto dell’esperienza… Il primissimo giorno nella sala da pranzo, vedemmo la famiglia polacca, che appariva esattamente nel modo in cui la descrisse mio marito: le ragazze erano vestite in modo abbastanza convenzionale ed austero, e il bellissimo e affascinante ragazzino di tredici anni indossava un vestito alla marinara con colletto aperto e merletti molto graziosi. Attirò immediatamente l’attenzione di mio marito. Quel ragazzo era straordinariamente attraente, e mio marito lo osservava in continuazione con i suoi compagni sulla spiaggia. Non lo inseguì per tutta Venezia – questo non lo fece – ma il ragazzo lo affascinò, e pensava spesso a lui… Ricordo ancora che mio zio, il consigliere privato Friedber, un famoso professore di diritto canonico a Lipsia, era indignato: “Che scandalo! E perdippiù un uomo sposato e con famiglia!” |
In quei primi mesi del 1913 lo scrittore è impegnato a scrivere un’altra sua opera celebre “La montagna magica“, la sua giornata è scandita da una rigorosa e metodica disciplina. Tutte le mattine, senza bisogno della sveglia si alza dal letto alle otto in punto. Alle otto e mezza Thomas e Kate si incontrano, chiusi in un rigido formalismo coniugale per fare colazione insieme.
Alle 9 non un minuto di piùMann inizia a lavorare ed i figli ricorderanno per tutta la vita, che ovunque abitassero, il padre chiudeva la porta dello studio con il gesto di colui che esclude il mondo intero da quel sancta sanctorum. “Dacci oggi la nostra pagina quotidiana – disse una volta all’amico Bartram – ho bisogno di carta liscissima, inchiostro liquido ed una penna nuova che scorra facilmente”.
Esattamente tre ore dopo Thomas Mann smette di scrivere e va a radersi la barba. Ha scoperto infatti che se si rade la mattina nel tardo pomeriggio le sue guance sono già scurite da una sottilissima peluria, mentre radendosi dopo mezzogiorno all’ora di cena è ancora perfettamente sbarbato.
Dopo fa una breve passeggiata a cui segue il pranzo con i figli. Quindi si concede un sigaro nel soggiorno di casa, leggiucchia qualcosa, a volte persino gioca con i figli. Alle 16 in punto si concede esattamente un’ora di sonno. Anche in questo caso il riposino si interrompe, senza bisogno di alcuna sveglia, alle 17 precise. Segue la cerimonia del tè pomeridiano. Dalle 17.30 in poi è il momento della giornata in cui è maggiormente disponibile con il mondo esterno, riceve qualcuno, ad iniziare dall’amico Bartram, risponde o fa qualche telefonata, si occupa sommariamente delle questioni domestiche.
Alle diciannove spaccate cena. L’organizzazione metodica ed inalterabile di questa giornata, cosi simile alla vita di un collegio o di una caserma militare, sarà seguita per tutta la vita dall’autore de I Buddenbrook, La morte a Venezia e La montagna magica , premio Nobel per la Letteratura nel 1929.
Ma chi era il vero Tadzio, il giovane fanciullo dalla bellezza classica che aveva suscitato le brame omosessuali di Mann? Il ragazzo che sembra abbia ispirato il personaggio di “Tadzio” era il barone Władysław Moes, il cui primo nome era di solito abbreviato in Władzio o Adzio.
La sua identità fu scoperta dal traduttore di Thomas Mann, Andrzej Dołęgowski, intorno al 1964 e la notizia venne pubblicata dalla stampa tedesca nel 1965. Alcune fonti riferiscono che lo stesso Moes non seppe di essere l’ispiratore della storia fino a che non vide la versione cinematografica di Visconti nel 1971.
Władysław Moes nel 1911 aveva solo 11 anni – non ancora compiuti – quando fu visto a Venezia dai coniugi Mann ed era quindi più giovane sia dei ricordi di Katia Mann che della finzione letteraria.