mercoledì, Maggio 8

A scuola dalla natura

Se ne conoscono finora, in tutto, un centinaio di casi, ma potrebbero essere di più, in qualche posto del mondo non abbastanza esplorato. Si tratta dei “ragazzi selvaggi”, lasciati o persi in qualche foresta, scampati alla morte: ritrovati anni dopo, già grandi, senza vestiti addosso, dagli occhi inespressivi, non in grado di camminare, se non a quattro “zampe”, e neanche di parlare.

Già a partire dai due anni, gli esseri umani, sfruttando le disponibilità dell’ambiente naturale, possono sopravvivere, nutrendosi non solo di vegetali (foglie, erba, bacche e radici), ma anche di uova di uccelli e di piccoli animali, senza cuocerne la carne. A volte però vengono aiutati da gruppi di scimmie, o altri animali, sia per l’acqua e il cibo, sia per dormire in posti più sicuri. In effetti, i bambini ispirano un senso spontaneo di tenerezza e un certo istinto di protezione anche in alcune specie animali. Come aveva chiaramente dimostrato il grande Lorentz, con le sue oche fedeli, essi per imprinting considerano genitori i primi esseri, umani o animali, con cui si trovavano a contatto. Allora si parla di bambini-lupo, orso, gazzella, o scimmia.

Alcuni casi

Uno dei casi più conosciuti, fu quello di un ragazzo di 12 anni, trovato e catturato nel 1798 nei boschi dell’Aveyron (Francia). Poi, dopo essere affidato ad una vedova e ad un naturalista, fu portato ad un istituto per sordomuti, dove un medico cercò pazientemente di recuperarne il comportamento e il linguaggio. Imparò il significato di alcune parole, associate a disegni e oggetti, oltre a qualche verbo ed aggettivo. Invece non imparò mai a parlare.

Due bambine, nel 1920, furono ritrovate in una tana di lupi dell’India: dormivano per terra, una sull’altra, nude, mangiando solo latte e carne cruda, senza mai prendere il cibo con le mani. La più grande, al contrario dell’altra, che sopravvisse per poco tempo, visse ancora per otto anni, imparando il significato di una cinquantina di parole e comunicando a gesti, persino riuscendo a giocare con altri bambini.

Umani si diventa, non si nasce

«È pensabile che alcuni animali tollerino la presenza di un piccolo della specie umana. Stando in contatto anche solo visivo con loro, un bambino può così individuare fonti d’acqua e di cibo, ripararsi la notte in luoghi caldi e sicuri» dice Angelo Tartabini, docente di Psicologia evoluzionistica all’Università di Parma.

Gli studiosi hanno appurato che dopo vari anni vissuti a contatto con la Natura e certi animali, il recupero è sempre molto difficile e alla fine solo parziale. Le parole assimilate sono soltanto quelle associate ad oggetti reali, mentre la verbalizzazione vera è praticamente impossibile. L’incapacità di parlare compromette inoltre la possibilità di poter pensare in modo astratto, elemento indispensabile per una sostanziale umanizzazione.

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