sabato, Luglio 27

Alla ricerca della vita aliena attraverso le biofirme

I progressi tecnologici degli ultimi trenta anni ci permettono di estendere la ricerca della vita extra terrestre oltre i confini del Sistema Solare.
Non passa quasi giorno senza che venga scoperto un nuovo esopianeta, ovvero un pianeta collocato fuori dal nostro Sistema. Al 18 marzo 2018 risultano conosciuti 3.755 pianeti extrasolari in 2.805 sistemi planetari diversi (di cui 627 multipli); inoltre 2.423 è il numero di pianeti candidati ad implementare questa lista e altri 208 possibili pianeti sono in attesa di conferma o controversi.
Da poco abbiamo imparato ad osservare la composizione chimica della loro atmosfera e misurare la struttura termale planetaria.
Le due tecniche più utilizzate sono la spettroscopia di transito o di eclisse che sfrutta il passaggio orbitale di un pianeta nei confronti della sua stella e la tecnica di imaging diretto. Più di recente abbiamo affinato le tecniche per catturare le caratteristiche atmosferiche dei pianeti chiamati Super Terre. In astronomia si definisce super Terra un pianeta extrasolare di tipo roccioso che abbia una massa compresa tra 1,9–5 e 10 masse terrestri; questa classe di pianeti è dunque una via di mezzo tra i giganti gassosi di massa simile ad Urano e Nettuno ed i pianeti rocciosi di dimensioni simili alla Terra.
Comprendere la chimica e la composizione atmosferica di un esopianeta è la condizione fondamentale per capire se potenzialmente può ospitare forme di vita aliena.
Per quanto riguarda la natura della vita aliena, pur essendo le leggi della fisica universali e quindi applicabili a Roma, piuttosto che su Marte o su Proxima Centauri, non è detto che essa si basi su ossigeno e ozono come per la Terra.
James Lovelock è stato uno dei primi scienziati, che fin dagli anni Sessanta, ha cercato di rispondere a questo interrogativo con un approccio sia scientifico che pragmatico. Negli anni Settanta Lovelock, nato nel 1919 in Gran Bretagna, elaborò durante la sua attività per la NASA la sua Ipotesi di Gaia.
Secondo questa teoria gli oceani, i mari, l’atmosfera, la crosta terrestre e tutte le altre componenti geofisiche del pianeta Terra si mantengano in condizioni idonee alla presenza della vita proprio grazie al comportamento e all’azione degli organismi viventi, vegetali e animali.
Nella ricerca delle biofirme anche la presenza di CO2 gioca un ruolo non marginale. così come il segnale della banda red edge.
Quest’ultima è una metodica estremamente intelligente. Durante la fotosintesi le piante assorbono luce dal Sole principalmente dalla parte visibile dello spettro e non certamente dall’infrarosso che si limitano a riflettere.
Questa proprietà riflessiva delle foglie è facilmente misurabile dai satelliti, la rilevanza della Red Edge Band è riconosciuta da anni. Infatti, la risposta spettrale della vegetazione sana nella Red Band ha un forte assorbimento della luce causata dalla clorofilla e nella NIR band un alto valore di riflettanza dovuta alla struttura cellulare fogliare.
In altri termini si tratta di un’importante biofirma che può rilevare la presenza di vegetazione in un esopianeta e conseguentemente l’esistenza di forme di vita biologiche.
La definizione di biofirma data da Lovelock, ovvero la presenza di squilibrio chimico causato dalla presenza di organismi viventi su un pianeta è attualmente l’unica rigorosamente scientifica che possediamo.
Il suo limite è che non possediamo una conoscenza esaustiva della chimica delle atmosfere degli esopianeti e questo inficia l’affidabilità totale di questa metodica.
Senza queste conoscenze sarebbe esclusivamente speculativo asserire l’abitabilità di un esopianeta sulla sola base dell’analisi della sua biofirma.

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