Siamo nel 442 a.C. ad Atene, durante le Grandi Dionisiae che si svolgevano nel mese di aprile. Durante queste celebrazioni pagane dedicate al Dio Dioniso i più grandi tragediografi della polis si sfidavano in veri e propri agoni tragici, presentando le loro ultime creazioni e gareggiando per conquistare i favori del pubblico.
In questa occasione Sofocle, uno dei più amati e fecondi autori dell’antica Grecia, presenta “Antigone”, una tragedia ispirata ai drammi tebani, il più famoso dei quali è senz’altro l’Edipo Re scritto qualche anno dopo.
Antigone è essenzialmente la lotta crudele tra due Leggi: La Legge dello Stato (della polis) e La Legge dell’Amore.
Il fratello di Antigone, Polinice tradisce la sua città Tebe e muore combattendo contro di essa sotto le mura della città. Come stabilisce la Legge della polis, in quanto traditore, gli è negata la sepoltura. La sorella Antigone si trova pertanto stretta nella tenaglia tra due Leggi, entrambe giuste, quella dello Stato, implacabile e vendicativa e quella dell’Amore incondizionato.
Antigone non esita. Nonostante il divieto espresso del Re di Tebe Creonte sceglie la pietas che deriva dall’amore autentico per il fratello e lo seppellisce.
E’ una scelta determinata e consapevole, del tutto opposta all’inconsapevolezza di Edipo che nella sua ricerca della verità non sa di essere parricida e incestuoso.
La decisione di Antigone è animata da un amore per il fratello che non conosce limiti, neppure quelli della propria morte.
Per questa scelta viene condannata da Creonte a vivere il resto dei suoi giorni imprigionata in una grotta. In seguito alle profezie dell’indovino Tiresia e alle suppliche del coro, Creonte decide infine di liberarla, ma troppo tardi, perché Antigone nel frattempo si è suicidata impiccandosi.
La tragedia di Sofocle ci insegna che gli essere umani sono esseri animati dal desiderio e non esseri che si limitano a sopravvivere.
Antigone con il suo gesto cancella ogni scelta utilitaristica dalla sua esistenza per onorare il fratello Polinice, fino al punto di darsi la morte e violare la Legge della polis.
Il suo gesto estremo ci mostra quasi didascalicamente come la vita umana non possa ridursi ad una mera vita animale, alimentata da istinto e bisogni, ma grazie anche all’amore ed alla sua forza eversiva si riempie di significati e contenuti, al punto tale, da far preferire la morte ad una qualsiasi “vita”