Gennaio 1979. Il mondo politico e affaristico è in fibrillazione. Lo spettro delle cosiddette “carte di Moro”, le decine di lettere ed appunti che lo statista democristiano ha scritto nella “prigione del popolo” misteriosamente scomparse, turba il sonno di molti personaggi della Prima Repubblica.
In una fredda giornata di quel mese il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa chiama un suo uomo di fiducia, il maresciallo Angelo Incandela, comandante delle guardie del supercarcere di Cuneo e gli da un appuntamento in un ristorante.
Nel parcheggio del ristorante Dalla Chiesa si presenta con uno sconosciuto e chiede ad Incandela di recuperare un plico destinato al bandito Francis Turatello che non è riuscito ad entrarne in possesso perchè da poco trasferito al carcere di Pianosa.
Dalla Chiesa ha assoluta fiducia in Incandela e gli dice che quel plico contiene gli scritti di Aldo Moro, che lui deve recuperarli senza leggerli e che lo sconosciuto che ha accanto nell’auto immersa nel buio del parcheggio del ristorante gli darà tutte le indicazioni per facilitarne il recupero.
Grazie alle informazioni dello sconosciuto Incandela circoscrive l’area delle ricerche e quindici giorni dopo mette le mani in un locale destinato al controllo dei generi di conforto inviati ai detenuti dai loro familiari di un pacchetto di circa 30 cm avvolto in un nastro isolante marrone.
Si guarda bene dall’aprirlo e consegna il tutto al generale Dalla Chiesa. Circa due mesi dopo, quando il telegiornale annuncia l’omicidio di Mino Pecorelli, Incandela riconosce l’uomo misterioso che aveva incontrato in quel giorno di gennaio con il generale Dalla Chiesa.
Pecorelli che dirigeva un piccolo settimanale politico OP – Osservatorio Politico stava lavorando allo scoop della sua vita. Da tempo questo ex avvocato ha nel mirino il potentissimo Giulio Andreotti di cui pare conoscere molti inquietanti misteri. Per il suo assassinio 25 anni dopo Andreotti sarà condannato
dalla Corte di Assise di Perugia a 24 anni di carcere come mandante di un omicidio volontario in concorso con elementi mafiosi e della banda della Magliana.
Un anno dopo la Corte di Cassazione annullerà il processo e dichiarerà definitivamente assolto Andreotti, senza richiedere la celebrazione di un nuovo processo.
Ma torniamo alle carte di Moro. Perchè erano destinate ad un bandito come Francis Turatello? E chi era costui?
Nato ad Asiago nel 1944, da padre ignoto e da una sarta veneta, Turatello si dedica in gioventù al pugilato, ma stavolta la boxe non salva questo sfrontato ragazzo dai pericoli della strada. A capo di una gang di immigrati catanesi si butta nel giro del gioco d’azzardo e dello sfruttamento della prostituzione.
In combutta con la banda dei marsigliesi di Albert Bergamelli commette numerose rapine ed entra in contrasto con un altro famoso capobanda dell’epoca: Renato Vallanzasca.
La faida tra i due boss della criminalità milanese insanguinerà le strade di Milano. Il 2 aprile del 1977 Turatello viene arrestato e condannato ad una lunga detenzione di carcere duro.
Da Cuneo, passa a Pianosa e manca cosi per poco gli scritti di Moro che qualcuno si era premurato di recapitargli, quelli recuperati da Incandela su segnalazione di Pecorelli.
Il 17 agosto 1981 nel carcere di massima sicurezza nuorese di Badu ‘e Carros, in Sardegna, Turatello viene ucciso da Pasquale Barra, detto o’animale e altri in modo a dir poco selvaggio: accoltellato e poi sventrato, i suoi sicari addentano in segno di spregio il suo cuore.
Francis Turatello porterà nella tomba il segreto sulle carte più scottanti della storia repubblicana. Perchè proprio ad un capobanda criminale come lui qualcuno avrebbe voluto che le carte di Moro fossero recapitate?
E perchè altri avrebbero segnalato a Pecorelli dove trovarle?
Questi sono soltanto alcuni degli interrogativi sulla scomparsa delle carte del leader democristiano che evidentemente contenevano segreti inconfessabili, al punto da giustificare anche l’omicidio.