sabato, Luglio 27

Quella volta che la magistratura decapitò il vertice della Banca d’Italia

Più di una volta il nostro istituto di emissione si è trovato al centro di attacchi  scomposte, ma  probabilmente l’aggressione più violenta risale a molti anni fa.
Marzo 1979, l’impero di Michele Sindona è in piena bancarotta. Una parte importante della DC, quella dominante per intenderci, è legata a doppio filo con questo faccendiere che aveva fatto molta strada da quando nel 1946 aveva aperto a Milano uno studio di consulenza tributaria.
In molti si attivano per salvarlo dalla bancarotta, l’idea è quella di far intervenire direttamente lo Stato per gestire e finanziare un’operazione di salvataggio.

Contro questa scellerata opzione si batte Ugo La Malfa, storico leader repubblicano che però viene stroncato da un ictus il 24 marzo del 1979. Lo stesso giorno per ordine dei procuratori di Roma Antonio Alibrandi (il cui figlio era un terrorista neofascista) e Luciano Infelisi vengono arrestati clamorosamente il Governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi ed il Direttore Generale Mario Sarcinelli, quest’ultimo viene incarcerato direttamente a Regina Coeli.

L’accusa è pretestuosa e basata sul niente tanto che pochi mesi dopo si sgonfierà totalmente. I due vengono accusati di aver concesso crediti non dovuto all’industriale Nino Rovelli. L’intento è chiaro fin da subito, decapitare il vertice di Via Nazionale per sostituirlo con personaggi più malleabili e pilotabili, in modo tale da poter avviare l’operazione di salvataggio di Sindona.

L’interrogatorio di Paolo Baffi che all’epoca ha 68 anni, assistito dall’avvocato Giuliano Vassalli, è durissimo, al limite della brutalità. Alibrandi ed Infelisi gli urlano addosso, gli intimano di non alzarsi dalla sedia, gli dicono che per adesso non è in galera dove merita di essere solo perchè è anziano. I toni sono talmente alti e le grida dei due magistrati cosi belluine che i giornalisti appostati dietro le porte sentono quasi tutto.

A Baffi viene intimato di firmare una lettera di sospensione dagli incarichi di Mario Sarcinelli in caso contrario lo minacciano esplicitamente di incriminarlo di omissione di atti d’ufficio e di sospenderlo dalla carica ai sensi dell’art. 140 del Codice Penale.
Provato e consigliato dai suoi stessi avvocati, Baffi firma quello che riterrà l’atto più avvilente e mortificante della sua carriera professionale.

L’operato della magistratura romana (i due procuratori erano strettamente legati alla DC romana ed ai Caltagirone) fu accolto da un’ondata d’indignazione, a Baffi e a Sarcinelli pervennero innumerevoli manifestazioni di solidarietà, e 147 economisti firmarono un appello pubblico in loro favore.

Furono ambedue integralmente prosciolti in istruttoria l’11 giugno 1981, ma Baffi preferì dimettersi dall’incarico di governatore il 16 agosto 1979. Scrisse nel suo Diario: «Non posso continuare a identificarmi col sistema delle istituzioni che mi colpisce o consente che mi si colpisca in questo modo».
Doversi anni dopo si scopri’ grazie alle rivelazioni del faccendiere Francesco Pazienza, che all’inizio del 1974 il vertice della P2 si era riunito a Monte Carlo (tra i presenti ci furono Roberto Calvi e Umberto Ortolani) per decidere l’offensiva contro la Banca d’Italia che fu scatenata 5 anni dopo.

nelle foto Michele Sindona e Paolo Baffi.

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