martedì, Novembre 12

I cinici

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Con la fine delle Città-Stato e l’avvento della dominazione macedone i filosofi greci si ritirarono dalla politica e si concentrarono sulle virtù e sul benessere individuale. C’era ormai la convinzione di non poter cambiare in profondità la società come era stato prima dell’egemonia macedone, Aristotele è probabilmente l’ultimo filosofo ottimista in tal senso.

In questo contesto si affermano nel periodo ellenistico ben quattro diverse scuole di pensiero, una di queste, fu ispirata da Antistene da Atene (444 – 365 a.e.v.), di padre ateniese e di madre trace, fu uno dei più importanti discepoli di Socrate. Fin dopo la morte del Maestro, visse nel circolo dei socratici manifestando per diversi anni una perfetta ortodossia di pensiero, poi però qualcosa cambiò in Antistene.

Forse la sconfitta di Atene o l’eccessivo cavillare dei filosofi, qualcosa spinse Antistene, ormai non più giovane a disprezzare le cose che aveva apprezzato fino ad allora. Iniziò a vestirsi come un comune lavoratore e con un linguaggio semplice e popolare predicò all’aria aperta, per le strade di Atene.

Antistene cominciò a sostenere che la filosofia raffinata era un’aberrazione, che la vera ed unica filosofia “buona” era quella che anche un uomo comune poteva capire. Credeva nel ritorno alla natura e affermava che non doveva esserci né un governo, né la proprietà privata, né una religione ufficiale.

Lui ed i suoi seguaci condannavano la schiavitù e pur non essendo dei veri asceti disprezzavano gli eccessi in qualunque campo, dal cibo, ai piaceri carnali, al modo di abbigliarsi. La fama di Antistene fu però superata dal suo discepolo principale, Diogene di Sinope (412-323 a.e.v.) detto il Socrate Pazzo o anche il Cinico (il Cane), probabilmente il vero fondatore della scuola cinica.

Il nome di cinici attribuita a questa scuola di pensiero deriva con ogni probabilità o dal Cinosarge, l’edificio ateniese che fu la prima sede della scuola, o dalla parola greca κύων (kyon – “cane”) – soprannome di Diogene, che ne fu l’esponente più importante.

E come i cani randagi così i cinici vivevano indifferenti ai bisogni e alle passioni, fedeli solo al rigore morale. Dopo un periodo di declino, la scuola cinica ebbe una ripresa in concomitanza alla corruzione del potere imperiale di Roma: si fece appello allora alla libertà interiore e all’austerità dei costumi.

Diogene fu un personaggio straordinario a tal punto che ancora mentre era in vita fioccavano gli aneddotti e le leggende sulla sua personba, si dice che una volta andò a visitarlo lo stesso Alessandro Magno che gli chiese di cosa avesse bisogno. La risposta di Diogene fu lapidaria ed emblematica: “Non togliermi la luce”.

Contrariamente al significato che oggi attribuiamo alla parola cinico la dottrina di Antistene e di Diogene era tutt’altro che improntata allo scetticismo, alla freddezza ed al disprezzo, essa ardeva di passione per la vera virtù in confronto della quale sosteneva che i beni terreni non valessero nulla.

Fu soltanto in seguito, alcune decine di anni dopo, con Diogene ormai da tempo morto, che il cinismo assunse quella connotazione negativa che tutt’oggi attribuiamo a questo termine.

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