Circa cinquanta anni fa per i tipi della Chicago University Press veniva pubblicato un piccolo saggio che inizialmente passò quasi del tutto inosservato. Lo aveva scritto l’allora quarantenne Thomas Kuhn in aperta polemica con le teorie sulla scienza del filosofo Karl Popper. Il volumetto si intitolava “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” e da materiale per gli addetti ai lavori con il tempo divenne un vero e proprio long seller con oltre un milione di copie vendute, una cifra ragguardevole per un saggio scientifico.
Khun che di formazione era un fisico ma che si occupava in modo professionale di storia e filosofia della scienza lanciò con questa opera non soltanto una ben precisa (e controversa) teoria sull’evoluzione della scienza ma impose l’utilizzo di una nuova terminologia applicata al progresso scientifico.
La sua teoria entrava in dura competizione con il positivismo logico del Circolo di Vienna e con il razionalismo critico di Karl Popper sostenendo che la scienza non si sviluppa attraverso una progressione lineare verso la verità, ma piuttosto procede a “salti” che lui definì come slittamenti di paradigma, dove paradigma è un sistema coerente di visione della realtà, condiviso dalla comunità scientifica del momento e che tale rimane fino al paradigma successivo.
Tra un paradigma e l’altro per Khun si sviluppa la cosiddetta scienza normale, ovvero quell’insieme di studi e di ricerche che si collocano all’interno del recinto del paradigma di riferimento di quel preciso momento storico. A titolo esemplificativo possiamo citare che dopo Tolomeo il paradigma di riferimento era la Terra al centro dell’Universo, mentre quello dopo Copernico era costituito dal Sole che prendeva il posto del nostro pianeta come centro del cosmo.
La scienza normale esplora e cerca conferme sperimentali all’interno del paradigma dominante fintanto che i conti non tornano più, qualcosa non quadra o non si riesce a collocare all’interno del paradigma di riferimento. Allora intervengono quelle che Khun definisce “rivoluzioni scientifiche”, declinate al plurale per poterle distinguere dalla “rivoluzione scientifica” sviluppatasi tra la fine del Rinascimento e il Seicento.
A seguito di una di queste rivoluzioni scientifiche cambia il paradigma di riferimento. Il criterio con cui un paradigma risulta vincitore sugli altri consiste nella sua forza persuasiva e nel grado di consenso all’interno della comunità scientifica. Il paradigma usato dagli scienziati va considerato, secondo Kuhn, come teorico e arbitrario, in quanto è possibile verificare solamente una parte del paradigma stesso, un suo specifico elemento.
La teoria di Khun ha ancora tanti seguaci quanti avversari. Quest’ultimi contestano all’epistemologo statunitense stroncato dal cancro all’età di 73 anni nel 1996, il peccato di relativismo e che la storia delle scienze naturali dimostrerebbe che per lunghi periodi molti paradigmi hanno coabitato in maniera conflittuale senza che uno di essi si imponesse come “scienza normale”.
Di certo le rivoluzioni scientifiche di Khun offrono una spiegazione suggestiva su quei salti in avanti che molto spesso hanno segnato il progresso scientifico dell’umanità.