Tutti conosciamo la più celebre versione di questo mito ultra millenario, quella riportata dalla Bibbia. Secondo i Creazionisti è addirittura possibile risalire alla data esatta di questa catastrofe divina, ed esattamente il 2348 a.C., questo perché Abramo (vissuto tra il XXI e il XIX secolo a.C.) sarebbe nato 292 anni dopo il diluvio (la lettura letterale della Bibbia non tiene conto della gemàtria). Secondo queste congetture l’evento è avvenuto nel territorio mesopotamico e l’Arca si trova sul monte Ararat.
In realtà si tratta come dicevamo di un mito ricorrente nelle civiltà umane ed antecedente a quello biblico è sicuramente quello di origine mesopotamica tratto da una delle dodici tavolette che compongono l’Epopea di Gilgamesh . Curiosa è la storia del ritrovamento di questo ciclo epico di ambientazione sumerica, scritto in caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla, che risale a circa 4500 anni fa tra il 2600 a.C. e il 2500 a.C. Esistono sei versioni conosciute di poemi che narrano le gesta di Gilgameš, re sumero di Uruk, nipote di Enmerkar e figlio di Lugalbanda. Nella versione più conosciuta, la cosiddetta Epopea di Gilgameš è babilonese.
Le tavolette del poema furono scoperte, insieme a centinaia di altre, dall’archeologo Hormuzd Rassam nel 1853 all’interno dei resti del Palazzo di Assurbanipal nel sito archeologico di Ninive. Il mito del Diluvio però non fu tradotto che quasi venti anni dopo da George Smith, esperto incisore di banconote a Londra che come seconda attività faceva l’assiriologo al British Museum.
Smith iniziò a ricostruire e tradurre i frammenti di una grande tavoletta e grande fu il suo stupore quando si rese conto di trovarsi di fronte al racconto di una grande alluvione, molto simile al Diluvio universale contenuto nella Bibbia ebraica.
Nella storia che aveva per le mani, rivelatasi poi l’undicesima tavola dell’Epopea di Gilgamesh, il superstite non era Noè, bensì un uomo chiamato Utnapishtim. Quando nel dicembre del 1872, a un incontro della Society of Biblical Archaeology, annunciò la sua scoperta, tutto il mondo culturale ed accademico di Londra andò in fibrillazione.
Sfortunatamente nel centro della tavola mancava un grosso frammento proprio dove la storia entrava nel vivo. Fu così che con un’abile mossa pubblicitaria il Daily Telegraph promise un premio di 1.000 sterline a chiunque fosse in grado di ritrovare il frammento mancante. Il nostro George Smith pur non essendo mai uscito dai patri confini e privo di alcuna formazione come archeologo decise di cimentarsi nell’impresa e partì per la Mesopotamia.
Incredibilmente meno di una settimana dopo il suo arrivo a Ninive, Smith aveva già recuperato il tassello mancante. Il nostro incisore aveva fatto un ragionamento vincente: partire con le ricerche dall’enorme mucchio di terra dove tipicamente, nei siti archeologici, viene accumulata quella estratta durante gli scavi.
In teoria essa sarebbe dovuta essere priva di alcun reperto archeologico ma gli operai vi avevano scavato in tutta fretta, spesso non prestando sufficiente attenzione agli oggetti in cui si imbattevano, che si trattasse di ceramiche o tavolette d’argilla. Smith, così, non solo trovò il pezzo mancante per il quale era andato sin lì, ma recuperò anche qualcosa come trecento altri frammenti di tavolette d’argilla non riconosciuti e dunque scartati dagli operai.
Appena tornato a Londra Smith constatò che il frammento recuperato riempiva esattamente lo spazio della tavoletta che aveva tradotto e questo gli permise di assicurarsi il premio di 1.000 sterline. Il mito del Diluvio in salsa sumero-babilonese è molto simile a quello biblico. Ulteriori ritrovamenti, uno addirittura del 2014, però retrodatano ulteriormente la storia di questa punizione degli dei.
Questi reperti dimostrarono che il diluvio descritto nel poema babilonese di Gilgamesh era in realtà una rielaborazione dei miti contenuti nell’ATRAHASIS (grande saggio) e nell’EPICA DI ZIUSUDRA, entrambi di gran lunga precedenti alla composizione della Sacra Bibbia. Da queste fonti si evince la motivazione che spinse il dio Enlil a voler distruggere l’umanità.
Le persone sulla terra erano diventate così numerose da disturbare il sonno degli Dèi con il loro baccano, così Enlil adirato, riunì il consiglio superiore presieduto da An (dio del cielo e padre degli Anunnaki), Ninurta (dio del vento del sud) ed Ennugi (dio dei canali d’irrigazione). Insieme decisero per la fine del genere umano. Enki il dio della saggezza e della sapienza non era d’accordo con questa terribile decisione e decise di avvertire Utnapishtim dandogli anche le istruzioni per costruire un’arca.
Per non incorrere però nel tradimento degli altri usò un singolare stratagemma. Non parlò direttamente ad Utnapishtim, ma rivolse il suo discorso al muro della casa in cui quest’ultimo abitava, fingendo di non sapere che l’uomo stava ascoltando la bizzarra conversazione al di là della parete.
“Capanna, capanna! Parete, parete!
Capanna, ascolta; parete, comprendi!
Uomo di Shuruppak, figlio di Ubartutu,
abbatti la tua casa, costruisci una nave,
abbandona la ricchezza, cerca la vita!
Disdegna i possedimenti, salva la vita!
fai salire sulla nave tutte le specie viventi!
La nave che tu devi costruire
-le sue misure prendi attentamente,
eguali siano la sua larghezza e la sua lunghezza – ;
tu la devi ricoprire come l’Apsu”.
Io compresi e così io parlai al mio signore Enki:
“L’ordine, mio signore, che tu mi hai dato,
l’ho preso sul serio e lo voglio eseguire.
Che cosa dico però alla città, agli artigiani e agli anziani?
Enki aprì la sua bocca, così parlò a me il suo servo:
“Tu, o uomo, devi parlare loro così:
‘Mi sembra che Enlil sia adirato con me;
perciò non posso vivere più nella vostra città
non posso più porre piede sul territorio di Enlil.
Per questo voglio scendere giù nell’Apsu,
e là abitarecon il mio signore Enki.
Su di voi però Enlil farà piovere abbondanza,
abbondanza di uccelli, abbondanza di pesci.
Egli vi regalerà ricchezza e raccolto.
Al mattino egli farà scendere su di voi focacce,
di sera egli vi farà piovere una pioggia di grano”.