martedì, Maggio 14

Il primo confronto militare tra falange e legione – Seconda ed ultima parte

Pirro era Re dell’Epiro (l’attuale Albania), capo indiscusso della tribù dei Molossi si era imposto su tutta la regione. Era un sovrano molto singolare e con una notevole capacità, diremmo oggi, mediatica. Aveva diffuso la sua presunta discendenza da Achille ed il suo imparentamento con Alessandro Magno, il leggendario Re macedone capace di strabilianti imprese militari.

E da questo punto di vista anche Pirro aveva delle qualità innate e riconosciute, a cui associava una grande abilità diplomatica e la tendenza non comune per l’epoca di evitare l’inutile sacrificio dei suoi soldati. Per questo era amato e rispettato dal suo esercito e questa fedeltà gli permetteva di corroborare la sua grande ambizione personale. Ambizione che porterà Pirro a rispondere positivamente all’appello di Taranto che per la verità era associato a promesse di importanti contingenti militari autoctoni in appoggi agli Epirioti, promesse che non si realizzeranno che in minima parte. Il sogno di Pirro era quello di creare un nuovo regno nell’Italia Meridionale, da Taranto alla Sicilia.

Pirro sbarcò in Italia nel 280 a.C. con 3.000 cavalieri, 2.000 arcieri, 500 frombolieri, 20.000 fanti oltre a venti elefanti da guerra, che per la prima volta appaiono sul suolo italico. Precedentemente aveva inviato un suo generale, Milone, con un distaccamento di oltre 3.000 soldati per rafforzare la guarnigione di Taranto.

Con le poche truppe di rinforzo messe a disposizione dai tarantini Pirro scese giù fino al fiume Sinni trincerandosi dietro la sponda settentrionale in modo da proteggere la colonia di Eraclea. Il console Valerio Levino si accampava sulla sponda opposta forte di due legioni e circa 20.000 alleati e marcando cosi un piccolo vantaggio numerico.

L’iniziativa fu presa da quest’ultimo che fece passare alcuni reparti di cavalleria sulla sponda opposta approfittando di alcune boscaglie che diradavano su entrambe le rive del fiume. Per evitare un pericoloso accerchiamento Pirro si ritirò su una posizione più facilmente difendibile.

A questo punto il Re dell’Epiro ordinò alle falangi di marciare compattamente al centro dello schieramento avversario, mentre egli guidava 3000 cavalieri tessali sul fianco sinistro e posizionava a difesa del fianco destro i 20 elefanti.

La cavalleria tessala era essenzialmente però una cavalleria leggera e non riuscì a sbaragliare la cavalleria romana ed alleata che la fronteggiava. Pirro allora ordinò la carica delle falangi sperando che riuscissero a far ruotare lo schieramento romano verso la sua posizione in modo da intrappolare il nemico in una sorta di manovra a tenaglia.

Le falangi anche quelle più esperte del passato però si trovavano a disagio quando dovevano attaccare di corsa, mantenere gli opliti coesi ed allineati era pressocché impossibile, tanto più che le forze di Pirro erano integrate da tarantini ed altri alleati minori non avvezzi a manovre ordinate e compatte.

Le legioni romane invece operavano attraverso una disposizione in manipoli che aveva bisogno di minore compattezza nella formazione privilegiando la mobilità tattica della formazione.
L’arrivo disordinato della falange macedone compensò lo scontro tra le lunghe sarisse macedoni ed i corti gladi ispanici. I due eserciti si confrontarono per ore sotto il campo di battaglia senza che nessuno prevalesse decisamente sull’altro.

Sembra che la svolta della battaglia avvenne quando Pirro mandò all’attacco i 20 pachidermi che mai nessun romano aveva affrontato prima e che produssero terrore nella cavalleria nemica. Uno solo di questi bestioni fu ucciso in battaglia e verso l’imbrunire i romani decisero di ritirarsi abbandonando addirittura il loro campo fortificato.
Nel riportare le perdite subite dagli schieramenti, Plutarco cita due fonti molto divergenti tra loro:

– lo storico greco Geronimo di Cardia, che registra 7.000 vittime tra le file romane e 4.000 tra quelle greche;
Dionigi di Alicarnasso, secondo il quale, invece, le perdite furono molto più elevate: 15.000 morti tra i Romani e 13.000 tra le truppe di Pirro. Inoltre Eutropio riferisce che 1.800 soldati romani furono fatti prigionieri.

Al di la delle cifre sui morti e sui prigionieri il primo round, assolutamente non decisivo, andò a favore della falange, grazie anche all’utilizzo di un’arma, gli elefanti, provvisti sul loro dorso di torrette con soldati che potevano a loro volta colpire dall’alto i nemici, che i romani non conoscevano e che chiamarono buoi lucani.

Per Pirro si trattò di una vittoria assolutamente non decisiva e comunque costosa perché per il sovrano dell’Epiro rimpiazzare le perdite era estremamente più difficile che per i romani e che alla fine gli costò la guerra. Da qui l’espressione entrata nel linguaggio comune “vittoria di Pirro”.

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