Dal Settimo al Nono secolo dopo Cristo i Venetici, così venivano chiamate le genti che abitavano il territorio che dai Colli Euganei scendeva fino al mare ed anche i futuri abitanti di Venezia, erano sottoposti alle pressioni provenienti dai longobardi e dai bizantini al punto che nel loro ordinamento giuridico iniziavano ad affiancarsi agli istituti bizantini altri di pretta impronta germanica.
Nonostante questo i Venetici si consideravano romani, fedeli alla tradizione romana ed alla lingua latina ma maturando al contempo i tratti di un’originalissima civiltà. Acquistava progressivamente importanza il commercio marittimo ad esempio, superando il disprezzo che i romani nutrivano verso questa espressione economica. Persino le più alte autorità investivano ingenti sostanze in questa attività economica che diverrà il carattere distintivo di Venezia, come ad esempio apprendiamo dal testamento del Doge Giustiniano Parteciaco, redatto nel 829, che oltre ad un lungo elenco di proprietà, pascoli e palazzi annovera ingenti somme investite nel commercio marittimo.
Nel testamento, poi, del vescovo di Olivolo, Orso, redatto nell’ 853, fa la sua prima comparsa il pepe, destinato a diventare, assieme alle altre spezie e al sale, una delle ragioni delle fortune della Serenissima.
In questo periodo come testimoniano numerosi scavi archeologici si sviluppa l’industria vetraria che costituirà uno dei prodotti raffinati oggetto del commercio veneziano con le loro, prime, rudimentali imbarcazioni che risalivano l’Adriatico cercando di sfuggire ai pirati Saraceni e Slavi.
I pirati slavi che si annidavano tra i fiordi e le rientranze della costa dalmata erano una vera e propria spina nel fianco dei Venetici ed è in questo periodo che nasce l’antitesi veneto-slava che sarà una costante della storia veneziana.
Nel 828 avvenne un’altra tappa significativa nella fondazione identitaria di Venezia il trafugamento da Alessandria d’Egitto delle reliquie del corpo dell’Evangelista Marco. La storia è ammantata di leggenda. Due mercanti veneziani tali Rustico da Torcello e Bon da Malamocco che si trovavano per commerci ad Alessandria d’Egitto con la complicità di un sacerdote alessandrino, si impossessarono del corpo di Marco e per eludere gli arcigni doganieri arabi lo ricoprirono di carni di maiale, considerate immonde dai musulmani.
La reliquia fu portata sulla nave dei due mercanti, salvata da un quasi sicuro naufragio durante una violenta tempesta ed alla fine portata in salvo a Venezia.
La leggenda descrive l’arrivo a Venezia, l’immensa folla in attesa, attorno al patriarca di Grado, al vescovo di Olivolo, al doge, e l’odore delicatissimo di rose che si sparse per tutta la città come le spoglie di san Marco ebbero toccato terra.
Per onorare le preziose reliquie che per undici secoli saranno il simbolo del Leone di San Marco, furono costruite una chiesa accanto al Palazzo Ducale destinata ad essere cappella del doge e chiesa di Stato.