Il periodo che va dal 1920 al 1925 fu per la fisica qualcosa a metà strada tra una rivoluzione ed un terremoto. Tre secoli di incrollabile fede nella razionalità delle leggi che governavano la natura iniziarono prima a vacillare e poi a disgregarsi in un crescendo di scoperte e teorie di carattere “sovversivo”.
Uno degli epicentri di quel terremoto fu rappresentato dall’interpretazione onda/particella.
Fino a pochi anni prima la differenza tra onda e particella sembrava chiara. Immaginiamo due bicchieri, uno pieno d’acqua e uno pieno di sabbia.
Entrambe le sostanze cambiano forma e si possono versare tanto che di primo acchito sembrano avere le stesse proprietà. In realtà il liquido è continuo e liscio, la sabbia è discreta, contabile, appunto particellare.
Una particella in ogni istante ha una posizione definita e si muove lungo una certa traiettoria nello spazio, a differenza di un’onda che è invece “spalmata”.
Inoltre le particelle hanno una certa quantità di energia e di moto e possono interferire con altre particelle negli urti.
Insomma o si era una particella o un onda.
Eppure i fisici degli Anni Venti del Ventesimo Secolo erano sconcertati da questa wavicle (contrazione dei termini inglesi di onda e particella). Nonostante la consolidata teoria della natura ondulatoria della luce, i fotoni si comportavano come oggetti discreti capaci di scontrarsi tra loro e con gli elettroni.
C’era da procurarsi un mal di testa epocale.
La questione diventò ancora più sorprendente con la teoria di un giovane e brillante fisico Louis-Victor Pierre Raymond de Broglie (1892-1987) esposta nella sua celeberrima tesi di dottorato.
La tesi verteva sulla dualità onda-particella.
De Broglie faceva parte di una famiglia aristocratica di militari, suo nonno osteggiava la scienza che riteneva “una vecchia che cerca l’ammirazione dei giovanotti”. Per Louis quindi fu giocoforza arruolarsi in Marina dove si distinse nel campo delle trasmissioni. Dopo la morte del vecchio duca, De Broglie si congedò e si dedicò a tempo pieno al suo primo e grande amore: la scienza.
Egli aveva riflettuto a lungo sui dubbi di Einstein circa l’effetto fotoelettrico che corroborava l’esistenza dei fotoni rispetto alla natura ondulatoria della luce.
Il giovane fisico quindi azzardò un’ipotesi audace se la luce che sembrerebbe un’onda esibisce comportamenti particellari, perchè allora non può accadere anche il contrario? Forse le particelle, tutte le particelle, in determinate situazioni, assumono comportamenti ondulatori.
Questa teoria che costituiva la base della sua tesi di dottorato era cosi azzardata per quei tempi (1924) che i professori parigini chiamarono il grande Einstein per verificarne il contenuto.
Fu la fortuna di De Broglie, Einstein si mostrò entusiasta di questo sguardo non convenzionale sulla dualità onda-particella al punto di scrivere una sorta di prefazione alla tesi di dottorato.
Per questa intuizione De Broglie nel 1929 vinse, giovanissimo, il Premio Nobel.
La conferma sperimentale della teoria di De Broglie, e che costitui’ la spinta decisiva verso il Nobel, avvenne nel 1927.
Due fisici americani dei prestigiosi Laboratori Bell stavano studiando la proprietà dei tubi a vuoto bombardando con flussi di elettroni vari tipi di cristalli. I risultati erano sconcertanti, gli elettroni uscivano dai cristalli secondo direzioni “preferite” ignorandone sistematicamente altre.
Era un bel rompicapo, finchè i due fisici americani non vennero a conoscenza della tesi di dottorato di De Broglie.
Analizzati alla luce dell’ipotesi del fisico francese i risultati non erano altro che una versione un po’ più complessa dell’esperimento della doppia fenditura di Young, il comportamento degli elettroni illustrava una nota proprietà delle onde, ovvero la diffrazione.
La scoperta della “diffrazione elettronica” corroborava la teoria dei De Broglie gli elettroni sono particelle che si comportano come onde.