lunedì, Aprile 29

Regia e sceneggiatura nel cinema classico americano

Il cinema, contrariamente alla pittura o alla scultura, è un’arte collettiva. L’opera finale, il film che vediamo nelle sale, in televisione o su una delle tante piattaforme di streaming, è il prodotto della collaborazione di regista, sceneggiatore, direttore della fotografia, costumista, musicisti ed altre figure tecniche e autoriali. Indubbiamente però gli autori più importanti sono il regista e lo sceneggiatore.

Lo scontro per la libertà creativa

Nel cinema classico hollywoodiano che grosso modo va dagli inizi degli anni Venti fino ai primi anni Sessanta dello scorso secolo, per volere del produttore che intende avere il massimo controllo sulla realizzazione del prodotto si assiste ad una battaglia “sotterranea” tra la sceneggiatura e la regia. Negli anni Venti il regista, salvo casi sporadici, era una figura quasi marginale nella realizzazione di un film. La sua importanza autoriale inizia ad affermarsi nel decennio successivo contemporaneamente alla lotta per affrancarsi dalla dittatura della sceneggiatura.

La dittatura della sceneggiatura di ferro

Lo studio system, il metodo di produzione e distribuzione dominato dalle principali case cinematografiche di Hollywood, si basava oltre che sulla divisione del lavoro sulla cosiddetta “sceneggiatura di ferro”. Si trattava in sostanza di una sceneggiatura, tesa a limitare l’autonomia creativa del regista e che pertanto comprendeva oltre ai dialoghi, l’azione e, spesso, le singole inquadrature, primo piano, campo totale di una stanza, campo-controcampo.

Gli sceneggiatori

Le sceneggiature erano scritte spesso da un pool di autori, ma anche quando si trattava dell’opera di un singolo sceneggiatore, passava, molto spesso, di mano in mano, per essere rielaborata, integrata, smussata fino ad avere un canovaccio completo che il regista aveva il solo compito di eseguire, senza alcuna possibilità di incidere sotto il profilo creativo.

Raymond Chandler

Le majors pretendevano scrittori docili più che autori brillanti e creativi, capaci di riportare nella sceneggiatura il marchio di fabbrica della casa cinematografica ma soprattutto di controllare costi e contenuto della pellicola. Per questo grandi scrittori americani come Faulkner e Chandler che si cimentarono come sceneggiatori non ebbero grande fortuna.

L’espressione creativa dei grandi registi

Per i registi il problema era come sfuggire alla “dittatura” della sceneggiatura di ferro. Una parte significativa dei registi dell’epoca sostanzialmente subì questa costrizione autoriale ma i registi di maggior talento e personalità si ritagliarono una grande spazio autoriale e creativo attraverso la poetica e lo stile. La prima possiamo grossolanamente definirla come il tipo di storie che il singolo autore preferisce raccontare, mentre lo stile il modo di filmare e raccontare quelle storie.

La poetica

I registi che potevano permetterselo esercitavano il diritto alla loro poetica, accettando o rifiutando le sceneggiature che gli venivano proposte o addirittura partecipando alla stesura della sceneggiatura. Un esempio fra tutti, il grande John Ford che, pur spaziando su numerosi generi, esprimeva la sua poetica soprattutto con il western. Celeberrima una sua frase pronunciata all’inizio di un discorso tenturo durante un’assemblea di registi hollywoodiani: “My name is John Ford. I male western”, (Il mio nome è John Ford. Faccio western).

Lubitsch esprimeva la sua poetica con le commedie, Ulmer con l’horror, Lang nel poliziesco, Douglas Sirk nel melodramma. Altri registi come ad esempio Howard Hawks non avevano un genere preferito attraverso il quale esprimere la propria poetica. Hawks spaziava dai film di guerra alle commedie, dal noir al western.

Howard Hawks

Lo stile

In questo caso entrava in gioco lo stile del regista, ovvero quell’insieme di scelte quali le inquadrature o la forma recitativa che caratterizzavano la creatività dell’autore. Questi accorgimenti in qualche modo appongono la “firma” inequivocabile del regista, come la “profondità di campo” introdotta da Griffith e Stroheim e usata da Ford e da William Wyler, ma innalzata a livello paradigmatico del cinema moderno da Orson Welles. Il primo piano lungo che marca inequivocabilmente lo stile di autori come Elia Kazan e Nicholas Ray.

Il lungo duello tra sceneggiatura di ferro e libertà creativa della regia, quindi si consuma, durante l’epoca classica del cinema americano, attraverso la frontiera della poetica e dello stile, autentici grimaldelli per affermare la libertà creativa del regista, all’interno delle regole stringenti dello studio system hollywoodiano.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Bernardi, Sandro. L’avventura del cinematografo

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