mercoledì, Maggio 15

Un buco non cosI tanto nero

L’espressione buco nero fu coniata per la prima volta dal fisico teorico John Archibald Wheeler nell’autunno del 1967. Questi oggetti previsti dalla teoria della relatività generale presentano al loro interno una singolarità spazio-temporale.
Qualunque oggetto che cade nel buco nero entra in contatto con questa singolarità.La curvatura dello spaziotempo nei pressi della singolarità è cosi grande su una regione così piccola da mettere in discussione le leggi della fisica e gli effetti della gravità sono governati dalla meccanica quantistica.
Alla periferia del buco nero c’è una zona matematicamente definita che chiamiamo orizzonte degli eventi che ci impedisce di vedere cosa accade agli oggetti cosmici che vengono attratti dal buco nero.
Le distorsioni temporali in prossimità di un buco nero sono straordinarie. Immaginiamo due osservatori, uno a distanza di sicurezza dall’orizzonte degli eventi ed un altro che invece sta per varcare questa specialissima zona di confine con la singolarità spazio temporale.
Per l’osservatore che cade attraverso l’orizzonte degli eventi il tempo rallenta in correlazione all’osservatore lontano. In altri termini visto da lontano l’osservatore che precipita verso il buco nero sembra rallentare il suo moto mentre si approssima a questa regione.
Si arriverà pertanto al paradosso che mentre per l’osservatore che cade occorrono pochi istanti per attraversare l’orizzonte degli eventi, per colui che a debita distanza lo osserva, sembra che questo attraversamento richieda un’eternità. E come se colui che cade verso il buco nero fosse congelato nel tempo.
Qualunque cosa cada all’interno di un buco nero è perduta per l’esterno. Persino la luce. In realtà queste singolarità esotiche formate dal collasso di stelle di molte masse maggiori del sole non trattengono proprio tutto quello che ingoiano.

Una proprietà di questi oggetti è che tanto è più grande la massa tanto minore è la loro densità quando si formano. Nel 1974 Stephen Hawking scoprì che questi buchi non erano poi così neri.
Essi emettono infatti una radiazione che dipende strettamente dalla loro massa. Quest’unica tipo di emissione (per altro non in grado come la luce di darci un corredo di informazioni su cosa succede all’interno del buco nero) è il prodotto dello spazio vuoto che circonda il buco nero.
Come sappiamo lo spazio vuoto non è poi così vuoto ma è percorso da un ribollente mare di fluttuazioni quantistiche.
Queste fluttuazioni emettono di tanto in tanto coppie di particelle elementari dalla vita cosi breve da non essere misurabili. Ecco perchè vengono chiamate particelle virtuali. Di norma la coppia formata da una particella e dalla sua anti particella si annichiliscono tornando a sparire nel vuoto che le ha generate.

Il principio di indeterminazione ci dice che non c’è modo di misurare lo spazio vuoto per esistenze cosi brevi e quindi in teoria non ci sarebbero prove sperimentali dell’esistenza della particelle virtuali. In realtà però la loro esistenza incide su alcuni processi fisici che noi siamo in grado di misurare e che quindi confermano l’esattezza di questa previsione della meccanica quantistica.

Quindi in situazioni normali le particelle virtuali si annichiliscono prima di violare il principio di conservazione dell’energia. Quando però una coppia di particelle virtuali si forma in prossimità di un buco nero, una di queste può essere attratta dalla singolarità spazio-temporale mentre l’altra può sfuggirle diventando a questo punto misurabile.
Questo dipende dal fatto che la particella che cade nel buco nero può perdere più energia di quanto sia stata necessaria per crearla, creando per l’appunto energia negativa
attingendo alla riserva del buco nero che pertanto diminuisce.

Questa energia negativa compensa l’energia della particella riuscita a sfuggire garantendo cosi l’equilibrio del bilancio energetico.
E grazie a questo processo che il buco nero può emettere una radiazione che incide sulla sua massa che progressivamente diminuisce. Dopo un tempo incredibilmente lungo il buco nero può quindi evaporare lasciando soltanto l’impronta della sua radiazione.

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