La vita media dell’uomo è in continua crescita grazie ai progressi della medicina e dal 1950 il numero degli individui centenari è all’incirca raddoppiato ogni dieci anni. Si stima che tale numero quintuplicherà nei prossimi trent’anni.
La longevità deriva da un intricato complesso di fattori ancora poco chiariti, tra cui di grande importanza la predisposizione genetica e gli stili di vita. Vivere più a lungo non sembra perciò essere soltanto dettato dalla casualità; lo dimostra ad esempio il fatto che i centenari, già molto prima dei 100 anni, presentano caratteristiche peculiari rispetto a individui con minore longevità, come un ridotto numero di disabilità e patologie e una migliore funzione cognitiva.
Lo studio svolto sulla longevità
Ma esistono dei marcatori biologici che possono indicare se una persona ha buone probabilità di vivere fino a 100 anni? E’ quello cui hanno cercato di rispondere un gruppo di ricercatori di Stoccolma in uno studio da poco pubblicato su Geroscience, dove sono stati monitorati, per un massimo di 35 anni, individui sottoposti a prelievi di sangue con un’età, al momento del prelievo, compresa tra i 64 e i 100 anni, seguendone marcatori del metabolismo, d’infiammazione, dello stato di salute di fegato e rene, dello stato nutrizionale.
Lo studio è stato svolto su 44636 individui, di cui 1224 hanno raggiunto i 100 anni (84,6 % di donne) e rappresenta il più vasto studio in questo campo condotto finora.
I marcatori biologici della lunga vita
Tra i centenari si sono ritrovati livelli più bassi di alcuni marcatori biologici, quali il glucosio (indicante una migliora funzionalità metabolica), la creatinina (migliore funzionalità renale), l’acido urico (ridotto stato infiammatorio) e altri marcatori indicanti migliore funzionalità del fegato. Al contrario, bassi livelli di colesterolo totale, di ferro e di capacità di legare il ferro sono associati a una minore probabilità di vivere a lungo.
Il dato sul colesterolo sembra essere particolarmente curioso e indurrà certamente perplessità in molti ma differenti studi negli ultimi anni stanno evidenziando come in realtà non sembra esserci una correlazione tra livelli di colesterolo e malattie cardiovascolari, come paventato per lungo tempo, e in molti paesi si stanno rivedendo le raccomandazioni sulla presenza di colesterolo nella dieta.
È interessante anche notare che tutti i marcatori considerati erano già differenti nei centenari, rispetto ai non centenari, dieci o più anni prima della morte, suggerendo che la predisposizione genetica e/o lo stile di vita possano svolgere un ruolo importante in tal senso.
Vivere a lungo
Gli autori concludono che sembra soprattutto lo stato infiammatorio a essere un fattore importante per raggiungere i 100 anni (basandosi sulle differenze osservate di acido urico che è responsabile, ad esempio, della gotta se in eccesso) mentre resta ancora da chiarire il ruolo svolto dalla nutrizione e l’eventuale beneficio apportato da una dieta con restrizione calorica.
Alcuni dati sembrano inoltre suggerire che il consumo di alcool possa essere correlato con una ridotta probabilità di raggiungere i 100 anni ma serviranno ulteriori studi prima di cancellare l’antico detto che buon vino fa buon sangue!
La strada per comprendere come arrivare ai 100 anni è ancora lunga ma lo studio getta basi importanti per comprendere in futuro quali possibili stili di vita o predisposizioni genetiche siano rilevanti per vivere a lungo.
Ultracentenari nel mondo
E per concludere qualche curiosità sugli ultracentenari nel mondo. Sono quasi tutti donne e la più anziana in vita, di cui si hanno notizie certe, ha quasi 117 anni e vive in Spagna! Giappone e USA sono invece i paesi col numero maggiore di ultracentenari. Il nostro paese può comunque vantare oltre ventimila individui sopra i 100 anni, numeri che sembrano ulteriormente destinati a crescere.
Decisamente ben al di sopra del mezzo del cammin di nostra vita di cui parlava Dante, che corrispondeva a 35 anni!
Fonte:
Murata et al. Blood biomarker profiles and exceptional longevity: comparison of centenarians and non‑centenarians in a 35‑year follow‑up of the Swedish AMORIS cohort. GeroScience (2023)
https://grg.org/WSRL/TableE.aspx
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