sabato, Dicembre 7

Vivere nel passato (sia pure di pochissimo)

Nei precedenti post sul tema del tempo come prodotto neurobiologico abbiamo capito che noi siamo consapevoli di un’esperienza sensoriale non quando avviene ma circa mezzo secondo dopo. Si tratta del frutto dell’evoluzione per rendere la vita non soltanto meno sgradevole ma di un meccanismo in grado di aiutarci nella spietata lotta per la sopravvivenza della specie.
Nel corso dei millenni si è affermata quindi la calibrazione dinamica del nostro senso del tempo che rende simultanea la percezione di stimoli diversi cancellando il tempo necessario alla corteccia associativa per rendere questi stimoli coscienti. Se ci tocchiamo un lembo di pelle in qualunque parte del corpo noi avvertiamo immediatamente la sensazione tattile provocata anche se neuroni e sinapsi dell’area della coscienza impiegano circa mezzo secondo per rendere questo stimolo cosciente.
DI questo intervallo di mezzo secondo nessuno di noi è cosciente. Dobbiamo questa scoperta a Benjamin Libet (1916-2007), neurofisiologo e psicologo statunitense, pioniere nella ricerca sulla coscienza.
Libet ha condotto le sue ricerche allo scopo di determinare il tempo intercorrente tra l’esecuzione d’un atto e il rendersi conto di farlo, che ha scoperto essere di 0,5 secondi. Per giungere a questa conclusione egli e i suoi collaboratori hanno messo a punto un sistema di rilevazione e una procedura di tipo rigorosamente oggettivo basato sul potenziale di scarica dei neuroni.
Non soltanto l’esito di questo esperimento condotto nel 1979 ha appurato l’esistenza di questa latenza di circa mezzo secondo, ma in modo quasi sconcertante, che il potenziale di prontezza motoria comincia circa 1 secondo prima dell’avvio del movimento ad esempio di un dito, ma i soggetti divengono consapevoli dell’intenzione di agire solo 200 ms circa prima del movimento, quindi molto dopo (circa 800 ms) l’inizio dell’attività cerebrale connessa.
Questa risultanza ha alimentato un vivace dibattito sul libero arbitrio su cui non ci soffermeremo in questo post.
Una cosa è però certa per alcuni versi possiamo dire che tutti noi viviamo nel passato, sia pure un passato vecchio soltanto di mezzo secondo. Un danno alla compressione del tempo necessaria per ottenere questa illusoria simultaneità nella percezione di eventi multi sensoriali può provocare gravi problemi alla vita delle persone che ne sono affetti.
L’alterazione del meccanismo di compressione del tempo può provocare un’accelerazione del senso del tempo talmente significativa che la persona ne diviene dolorosamente consapevole.
Questa alterazione è spesso legata all’insorgenza di tumori, come nel caso clinico di un uomo di 52 anni, colpito da un tumore cistico maligno del lobo frontale sinistro e che registrò una violenta accelerazione del senso del tempo di tutto quello che osservava o faceva.
Trenta minuti di colloquio in un ambulatorio erano per lui non più di 5 o 6 minuti e gli era diventato impossibile guidare l’automobile o molto più banalmente vedere il figlio piccolo correre in un modo che lui percepiva in modo fortemente alterato rispetto alla realtà.
Si possono citare tantissimi casi del genere a riprova di come il delicato equilibrio della compressione temporale operata del nostro cervello sia lo spartiacque cruciale nel riuscire a vivere e percepire l’ambiente circostante in modo utile alla nostra sopravvivenza.

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