sabato, Maggio 18

Banditi e predoni nel Medio Evo

Per gran parte del Medioevo imbattersi in banditi e fuorilegge era tutt’altro che cosa rara. Le strade, soprattutto in lontananza dai centri urbani più grandi, si rivelavano insidiose e dense di pericoli tanto che quando era possibile si preferiva viaggiare in gruppo e per i più fortunati (e potenti) sotto scorta.

La mancanza di un forte potere centrale favoriva il proliferare di banditi che trovano nei boschi non soltanto il loro naturale rifugio ma anche la base per incursioni e razzie.

Arrestarli – e punirli – era quasi impossibile: o li si coglieva sul fatto oppure si doveva sperare nella delazione di qualche seguace. L’estrema difficoltà di reprimere questo fenomeno si capisce anche dal ricorso a bizzarri riti “magici” tesi ad individuare ladri e briganti. Ma chi erano questi banditi?

Sicuramente una parte importante di questo fenomeno era costituita da poveri e diseredati che non avevano altro mezzo per sopravvivere se non delinquere. Ma accanto ad essi c’erano anche cavalieri caduti in disgrazia ed anche individui relativamente benestanti che non contenti di ciò che avevano, si davano alle razzie per accaparrarsi ciò che mancava loro per vivere secondo il tenore di vita desiderato.

In Italia nel medioevo il brigantaggio si sviluppò in particolar modo nel settentrione. Si formarono bande composte non solo da comuni banditi ma anche da avversari politici o persone agiate che venivano cacciati dalla loro residenza in seguito alla confisca dei loro patrimoni. Per sopravvivere queste persone furono costrette a darsi alla macchia, aggredendo mercanti e viaggiatori.

Una figura leggendaria di brigante, tramandata anche dalle opere del Boccaccio è quella di Ghino di Tacco, nato nel territorio ora appartenente al comune di Sinalunga in provincia di Siena. Figlio del conte ghibellino Tacco di Ugolino e di una Tolomei  era un rampollo della nobile famiglia Cacciaconti ramo Guardavalle e insieme con il padre e lo zio omonimo, pur giovanissimo, partecipava ai furti e rapine in tutto il senese.

La Repubblica di Siena dette una caccia feroce alla banda e finalmente riuscirono a catturare i banditi. Tutti coloro che avevano la maggiore età vennero giustiziati in Piazza del Campo mentre Ghino ed un suo fratello poco più che bambini furono graziati.

La sorte drammatica di padre e zio però non impedì a Ghino di Tacco di rifugiarsi sulla rocca di Radicofani e da li continuare nelle sue imprese criminose facendosi per altro la fama di “ladro gentiluomo”. Così il Boccaccio nel Decameron descrive il rapimento del potente abate di Cluny ad opera di Ghino di Tacco:

«Ghino di Tacco piglia l’abate di Clignì e medicalo del male dello stomaco e poi il lascia quale, tornato in corte di Roma, lui riconcilia con Bonifazio papa e fallo friere dello Spedale.»

Anche Dante lo ricorda in un passo del Purgatorio. La morte del celebre predone è controversa. Non se conosce esattamente la data, ci sono fonti che indicano il 1303 ed altre il 1313. Anche la località è controversa chi asserisce che sia Roma, chi Asinalonga (l’antico nome di Sinalunga). Tra quelli che ritengono che Ghino sia morto a Sinalunga vi è Benvenuto da Imola, ritenuto abbastanza attendibile perché quasi contemporaneo di Ghino, del quale diceva, tra l’altro, che non fu infame come alcuni scrivono… ma fu uomo mirabile, grande, vigoroso, contribuendo all’opera di riabilitazione del personaggio.

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