lunedì, Ottobre 14

Come contrastare il terrore?

La sconfitta militare sul campo che si profila per il sedicente Stato Islamico non deve farci illudere sulla capacità del jihadismo di portare sempre di più il terrore nel cuore dell’Europa.
La probabile caduta di Raqqa, che viene dopo i rovesci di Mosul e la quasi completa erosione del territorio di Daesh (o ISIS) conferma ancora una volta che lo scontro militare sul campo, quello classico, convenzionale, prima o poi ha un solo esito possibile.
Troppo grande la disparità tecnologica e di armamenti, che gli Stati sostenuti direttamente o indirettamente dall’Occidente e dalla Russia di Putin godono rispetto alle milizie jihadiste che possono contare di fatto solo (ed in parte) sull’aiuto di Teheran.
Diversa è la “guerra” che si combatte per le strade di Berlino, Londra, Barcellona, Bruxelles, Parigi. Per portare il terrore non è necessario un grande dispiegamento di forze, sono piu’ che sufficienti 6 o 7 individui determinati, o votati al martirio come dicono loro, come per gli attentati di Barcellona e Cambrils per effettuare stragi efferate e mettere in scacco una città.
Non è necessario che queste cellule terroristiche siano formate da personale addestrato e competente. La tecnica messa a punto da Nizza in poi consegna al terrore “un’arma” di facilissima reperibilità (auto, van, tir) e di elementare uso, che non richiede particolare preparazione o competenza.
Le contromisure sul campo, dobbiamo essere realisti, sono pressocchè nulle. Presidiare e blindare le zone più sensibili di decine di città europee, non soltanto è di fatto impossibile ma anche inutile.
Se crei varchi e presidi in una zona del centro di Parigi o Barcellona, i terroristi possono facilmente spostare l’attacco in un’altra parte della città.
Quando arriviamo al cosiddetto presidio del territorio (per altro indispensabile) la partita è già per metà persa.
La guerra al terrore non può che basarsi da un lato, su un cambio strategico e radicale delle politiche occidentali nel Medio Oriente, che magari non darà frutti nell’immediato futuro, perchè porre riparo agli errori ed alle scelte scellerate degli ultimi 30-35 anni non è certo cosa che si risolve con una dichiarazione d’intenti, ma rimane comunque una conditio sine qua non per tagliare progressivamente l’erba sotto i piedi del radicalismo islamico.
Più efficace nel breve periodo invece il lavoro di intelligence, sia interno che esterno, perchè quando un terrorista si presenta con documenti apparentemente legali per noleggiare un van, il gioco è già perso.
Un monitoraggio capillare dei fenomeni di radicalizzazione all’interno delle numerose comunità islamiche presenti ormai in tutta Europa è un’altro elemento fondamentale per la lotta al terrore, e questo monitoraggio, non può non avvenire che con una cooperazione stretta, continuativa e leale con le comunità mussulmane del territorio.
Non dobbiamo dimenticare, fortunatamente per l’Occidente, che lo scontro è con una piccola, sia pure estremamente pericolosa, minoranza dell’universo islamico.
Soltanto con la collaborazione, reciproca e leale, delle istituzioni, delle forze di sicurezza e delle comunità islamiche presenti sul territorio sarà possibile isolare le frange più radicalizzate e contigue con ISIS o Al Qaeda e neutralizzarle prima che imbrattino con il sangue di innocenti le strade della nostra Europa.
Non possiamo però invocare questa sacrosanta e doverosa collaborazione se con altrettanta chiarezza e determinazione non distinguiamo (e proteggiamo) la stragrande maggioranza dei mussulmani che niente hanno a che fare con il terrore, dall’odio, dal razzismo e da una intollerabile semplificazione ed omogeneizzazione della realtà.

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