giovedì, Maggio 2

Eleonora, la “pasionaria” di Napoli

È il 13 gennaio 1752, quando a Roma, dal marchese Don Clemente e da Caterina Lopez de Leon, appartenenti all’aristocrazia ispano-lusitana, nasce Leonor (poi italianizzato in Eleonora) de Fonseca Pimentel Chaves de Berja.

Il trasferimento a Napoli

Ben presto Eleonara, insieme ai genitori e ai due fratelli Michele e Giuseppe, si trasferisce in un’ampia casa dei quartieri spagnoli, a Napoli. Con la famiglia vive anche il fratello della madre, l’abate Antonio che si prenderà cura dell’educazione culturale della nipote. Fin da bambina Eleonora sarà in grado di leggere e scrivere in latino e greco, si dedicherà assiduamente allo studio delle lettere e inizia a scrivere apprezzati versi (sonetti, cantate, epitalami). Eleonora poi era una poliglotta, dominando diverse lingue moderne  e, ancora molto giovane, viene ammessa all’Accademia dei Filaleti, ove assunse il nome di “Epolnifenora Olcesamantea“, anagramma del suo nome e cognome.

Amicizia reale

A sedici anni scrive un epitalamio per le nozze tra Ferdinando IV di Borbone e Maria Carolina d’Asburgo-Lorena. La regina ne rimane così colpita che la vuole a corte, la nomina bibliotecaria e tra le due donne si sviluppa una salda amicizia. Nel 1771, quando Eleonora ha appena venti anni, muore la madre. Qualche anno dopo, nel 1776 inizia una corrispondenza con Voltaire, cui dedicò un sonetto (di cui non si conosce il testo) ottenendo, in risposta, un analogo componimento, dall’evocativo titolo “Beau rossignol de la belle Italie” (bell’usignolo della bella Italia). La caratura intellettuale di Eleonora cresce anno dopo anno e per un lungo periodo non si hanno notizie della sua vita sentimentale.

Il primo amore

Non si vive però di solo cultura e poesia e finalmente Eleonora si innamora. L’oggetto della sua passione è il cugino Michele. La storia è talmente seria che i due giovani decidono di sposarsi, appena Michele ritornerà da Malta dove ha degli affari da sbrigare. Stranamente però il tempo di permanenza sull’isola dell’amato cugino si dilata. Michele inizia a rispondere sempre più saltuariamente alla corrispondenza di lei, fino ad interrompere definitivamente ogni comunicazione. Eleonora apprenderà in seguito che il cugino si è invaghito di una giovane maltese.

La giovane è una donna orgogliosa e l’ultima lettera che scrive al cugino fedifrago recita così: «Aspettatevi di trovarmi armata come un riccio e velenosa come un basilisco; la tempesta dei sarcasmi e dei motteggi, che io vado aguzzando e infuocando alla fucina della stizza femminile, sarà in voi tale e tanta, che disperato ve ne dovrete tornare a Malta». Michele non tornerà mai più da Malta.

Furente e addolorata Eleonora si ritufferà con rinnovato slancio nello studio e nella scrittura, assumendo un rilievo così importante nella cultura del regno di Napoli, tale che nel 1780 viene accolta come membro dell’Accademia Reale di Scienze e Belle Lettere. Da allora parteciperà ai salotti letterari e massonici. delle principesse Marianna Faraja di San Marzano e Giulia Carafa di Traetto di Minervino.

Un matrimonio sbagliato

Due anni prima, nel 1778 Eleonora, allora ventisettenne, sposa un attempato tenente dell’esercito, di venti anni più grande di lei, Pasquale Tria de Solis. Guascone, estroverso, passionale l’uomo conquista Eleonora che conserva un’intatta ingenuità nei confronti degli uomini, che non sa giudicare correttamente.

I due si sposano nel febbraio del 1778 nella chiesa di Sant’Anna di Palazzo, in una giornata gelida e ventosa. Il loro sarà un matrimonio sfarzoso di cui parlerà tutta Napoli ma che indebiterà a tal punto lo sposo spaccone e presuntuoso tanto che, per onorare i debiti, Eleonora deve vendere dei gioielli che la regina gli aveva fatto come regalo di nozze.

Ben presto emerge il vero volto di un uomo rozzo, incapace di confrontarsi culturalmente con lei e fedifrago. La tradirà ripetutamente, senza preoccuparsi eccessivamente di nascondere l’adulterio. Pasquale gli darà un figlio, l’unico che Eleonora avrà nella sua vita, che però sopravviverà solo per otto mesi.

Fine di un incubo

La situazione degenera, il marito geloso della notorietà di Eleonora la maltratta sia psicologicamente che fisicamente. Come purtroppo accade anche oggi, dopo ogni battuta Pasquale le chiede perdono, arriva anche a piangere e disperarsi, fino al successivo accesso di rabbia e quindi a nuove percosse.

La situazione diventa così grave che il padre di lei, Clemente, nel  1784 da inizio a una causa di separazione della figlia dal Tria Solis, le cui percosse le avevano intanto causato l’interruzione di altre due gravidanze (il marito sarebbe poi morto nel febbraio 1795). L’anno dopo muore l’amato padre ed Eleonora rimane quasi in stato di indigenza tanto che si vede costretta a ricorrere alla Corte con una “supplica” al re, che le concede un sussidio di dodici ducati al mese.

È il momento più alto della devozione di Eleonora verso la coppia di sovrani che sembrano adottare una forma di dispotismo illuminato, tanto che nel 1789 scrive un sonetto  in cui elogia la lungimiranza dimostrata da Ferdinando IV con la legislazione liberale ed egualitaria per la comunità di San Leucio.

La rivoluzione francese

Proprio nell’anno in cui scrive quel sonetto elogiativo, in Francia scoppia una rivoluzione che propagherà i suoi effetti anche fuori dalle frontiere transalpine. Il 14 luglio 1789 con la presa della Bastiglia viene proclamata la Repubblica. La decapitazione di Luigi XVI, di sua moglie Maria Antonietta e di molti aristocratici nel 1792 produsse effetti di diversa natura nel resto d’Europa.

L’impatto più duro è proprio nel regno di Napoli dove la regina Maria Carolina si dispera per la brutale sorte riservata all’amata sorella Maria Antonietta. Le timide aperture liberali dei sovrani borbonici spariscono dietro una coltre di risentimento e un duro giro di vite viene avviato nella società più aperta e colta del regno. Eleonora che detesta l’assolutismo e l’autoritarismo si ribella a questa cappa oppressiva che si posa sulla società napoletana.

Repressione

Come risultato nel 1794 viene inserita in una lista di potenziali “rei di Stato”. Il Re gli toglie l’appannaggio mensile ma l’indomita Eleonora non si spaventa e professa con ancora più convinzione le sue idee giacobine. Nel 1797 viene incarcerata con l’accusa di giacobinismo e nel gennaio 1799, conseguentemente a un armistizio firmato a Sparanise tra il rappresentante del Regno e i francesi, che si stavano avvicinando a Napoli, viene liberata dai “lazzari” (i giovani proletari di Napoli), che, facendo evadere alcuni delinquenti comuni, liberarono anche detenuti politici.

La breve stagione della Repubblica Napoletana

Quando il 20 gennaio 1799 i francesi entrano a Napoli, appoggiati dagli elementi giacobini entrano nella fortezza di Castel Sant’Elmo. Paradossalmente i popolani, fedeli alla monarchia, insorgono ma vengono crudelmente cannoneggiati dalle truppe francesi.

Nasce così, in un bagno di sangue, l’effimera Repubblica Napoletana. Sarà una stagione breve e intensa, appena cinque mesi. In quel breve periodo Eleonora, sempre vestita in abiti maschili, troverà il tempo di comporre un Inno alla Libertà e di dirigere il periodico settimanale «Monitore napoletano», che diviene il megafono della Repubblica.

Si batte poi per limitare la prepotenza e la ferocia verso la popolazione delle truppe occupanti francesi attraverso articoli di rara efficacia patriottica e razionale. Purtroppo per lei, il popolo napoletano, in gran parte analfabeta non può leggere i suoi articoli e rimane fedele ai sovrani borbonici. Con l’appoggio di una flotta inglese al comando di Horatio Nelson, scoppia quindi una contro-rivoluzione e il 13 giugno 1799 le armate fedeli al re, guidate dal cardinale Ruffo di Calabria, entrano a Napoli, e il 30 Ferdinando IV istituisce una giunta di stato per giudicare i rivoltosi.

La morte di Eleonora

Eleonora viene arrestata il 17 agosto e imprigionata nella stiva di una nave inglese all’ancora nel porto di Napoli. Successivamente viene rinchiusa nel carcere di Vicaria e nonostante i reati a lei ascritti non siano particolarmente gravi, vittima forse della vendetta della regina Maria Carolina, Eleonora de Fonseca Pimentel viene processata e condannata a morte.

Il 20 agosto, pallida e con le mani legate viene condotta sul patibolo eretto in Piazza del Mercato. Il popolino ebbro di ferocia grida Nuda! Nuda! e la offende pesantemente. Eleonora indossa un abito nero quando viene impiccata al pennone più alto. Il suo corpo sarà lasciato penzolare tutta la notte per la gioia di ubriachi e voyeur, che sghignazzando vanno a sbirciarla da sotto la gonna. Prima di metterle la corda al collo, il boia infatti, come ultimo spregio, le aveva tolto le mutande. Eleonora aveva quarantasette anni.

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

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