giovedì, Maggio 2

Gli antieroi del cinema hollywoodiano

Soprattutto a cavallo tra gli anni Sessanta e i primi anni Ottanta, Hollywood sforna un impressionante numero di attori bravissimi che spesso interpretano la figura dell’antieroe. L’antieroe “moderno” è quasi sempre un uomo comune, onesto, a volte fisicamente inadeguato, spesso deriso e perdente, apparentemente senza particolari qualità ma che in determinati frangenti della vita trova dentro di sé determinazione, coraggio e perfino violenza per difendere se stesso e il proprio mondo.

Dustin Hoffman

Un esempio classico di questo antieroe è impersonato da Dustin Hoffman (classe 1937) che interpreta questo archetipo umano in film come Il laureato, Un uomo da marciapiede, Il maratoneta e Cane di paglia. Soprattutto quest’ultimo film è la perfetta sintesi dell’antieroe, incarnato da David Sumner, un matematico gentile e pacifico sottoposto ad una serie di angherie da parte un gruppo di giovinastri di uno sperduto paese della Cornovaglia dove si è ritirato con la bella, giovane e annoiata moglie Amy.

Quest’ultima viene stuprata da un suo ex che fa parte della combriccola. Nonostante questo David sembra incapace di reagire, fin quando per difendere da un tentativo di linciaggio Henry Niles, un abitante con disturbi mentali che ha involontariamente ucciso una ragazza, si oppone al gruppo di violenti sfaccendati che lo hanno tormentato e che hanno stuprato la moglie.

Seguirà un lungo assedio del cottage di David che reagirà con una violenza inaudita e imprevedibile all’assalto, sterminando tutti gli aggressori. Il 25 novembre 1971, alla prima mondiale di Cane di Paglia che si teneva a Londra, dopo circa venticinque minuti dall’inizio della proiezione quasi un terzo degli spettatori aveva abbandonato la sala. Il motivo di questo fuggi-fuggi generale? La violenza di cui era permeato il racconto.

Jack Nicholson

Un altro tipo di antieroe è caratterizzato da Jack Nicholson (classe 1937), quello dell’attore del New Jersey è un personaggio sfuggente e asociale celebrato in film come Cinque pezzi facili (1970), Conoscenza carnale (1971), Il re dei giardini di Marvin (1972), o L’ultima corvée (1973). Poi Nicholson virerà la sua recitazione verso torni eccessivi e stereotipati, sia nei gesti che nell’espressione, fino a fare del suo ghigno (Shining, 1980) una maschera che però intrappolerà l’attore in un reiterazione recitativa a tratti stucchevole.

Robert De Niro

Robert De Niro (classe 1943) deve a Martin Scorsese la sua affermazione nell’olimpo delle star hollywoodiane. Il suo antieroe è un uomo più solare ma con aspetti poco limpidi, un povero diavolo catapultato sulle strade del male da un destino implacabile e irriverente. Mean Streets (1973) a Taxi Driver (1976), sono pellicole emblematiche di questo antieroe, che trova però la sua prova più straordinaria nel Noodles del capolavoro C’era una volta in America (1984).

L’ultima opera di Sergio Leone è uno dei film più belli dell’intera storia del cinema. Massacrato dalla produzione che effettuò tagli selvaggi e censure, espropriando di fatto la creatività dell’autore, come per molti capolavori ebbe uno scarso successo commerciale e solo la coraggiosa opera dei figli del regista, che acquistarono i diritti del film per l’Italia, restaurandolo e recuperando oltre una trentina di minuti dell’opera originaria, ha ridato dignità e spessore ad un capolavoro della cinematografia mondiale. Nel finale di C’era una volta l’America risiede l’essenza dell’antieroe interpretato da De Niro. Un Noodles invecchiato si ritrova davanti l’amico creduto morto trentacinque anni prima durante una sparatoria.

Noodles ha già pianto sulle tombe dei suoi amici e in quel giorno lontano è finito un capitolo della sua vita. Max è morto, e l’uomo che ha dinanzi è il senatore Bailey, uomo rispettabile che Noodles non conosce, se non dai giornali, nulla ha dell’amico lontano se non le sembianze, ma non il suo cuore, non la sua lealtà. La scoperta del tradimento però non si traduce nell’assassinio dell’amico che credeva perduto per sempre.

«Vede signor senatore, anch’io ho una mia storia, un po’ più semplice della sua. Molti anni fa avevo un amico, un caro amico. Lo denunciai per salvargli la vita, invece fu ucciso, volle farsi uccidere. Era una grande amicizia. Andò male a lui, e andò male anche a me. Buonanotte signor Bailey» dice Noodles. Max allora ribatte: «È il tuo modo di vendicarti?». Noodles: «No. È solo il mio modo di vedere le cose».

Al Pacino

L’antieroe di Al Pacino (classe 1940) inizialmente è simile a quello di Dustin Hoffman ma più tenebroso e violento, e anche più autocompiaciuto, spesso fino al narcisismo. Tra le sue migliori interpretazioni vanno segnalate Panico a Needle Park (1971), Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975), per poi arrivare alla figura del mafioso cupo e triste, condannato alla solitudine dal suo stesso potere, nella grande saga di Coppola Il padrino, o del gangster fallito con Donnie Brasco (1997).

Marlon Brando

Non potevamo concludere questa breve e certamente non esaustiva carrellata sulla figura dell’antieroe e le sue interpretazioni da parte degli attori di Hollywood senza accennare a Marlon Brando. (1924-2004). Spesso il grande divo americano mescola la figura dell’antieroe con quella dell’eroe negativo. Figure che non vanno confuse in quanto il primo è un uomo comune, estraneo al suo mondo, generato dal cinema moderno e dalla demolizione dei miti. L’eroe negativo è invece una figura che ritorna pienamente dentro il mito, un cattivo molto più tradizionale.

Brando però spesso si trova a miscelare questi due archetipi diversi come nel film Un tram che si chiama desiderio, 1951 o ne Il selvaggio, 1955, fino a giungere al disperato seduttore di Ultimo Tango a Parigi. Il colonnello Kurtz di Apocalypse Now, 1979 rientra invece pienamente nell’eroe negativo, che interpreta il male assoluto con i suoi sacrifici umani e riti tribali.

L’Actor’s Studio

Tutti questi attori Hoffman, Nicholson, Al Pacino, De Niro, Brando escono dall’Actor’s Studio, la grande scuola del realismo teatrale aperta da Lee Strasberg negli anni Cinquanta. Questo laboratorio di attori viene fondato nel 1947 a New York da Elia Kazan, Cheryl Crawford e Robert Lewis, provenienti dal Group Theatre. La sua fama però inizia a decollare quando diviene direttore della Scuola, Lee Strasberg (1901-1982), attore, regista e produttore che impronto i suoi insegnamenti sul famoso Metodo Stanislavskij, insegnatogli negli anni trenta dal regista Richard Boleslawski, appartenente a un gruppo di emigranti russi, facenti parte dell’American Laboratory Theatre, che sostenevano la tecnica recitativa improntata al massimo di realismo psicologico.

Strasberg forgerà una schiera di attori straordinari che segneranno la cinematografia americana come mai prima di allora.

Per saperne di più:

Actor’s Studio

Fonti:

artesettima.it

alcune voci di Wikipedia

hotcom.com

Bernardi, Sandro. L’avventura del cinematografo: Storia di un’arte e di un linguaggio

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