Per molti secoli la medicina non ha mostrato un particolare interesse per la conoscenza dell’anatomia umana, soprattutto per la parte “contenuta” dentro l’involucro di pelle che ricopre il nostro corpo. Fino al Rinascimento la dissezione dei cadaveri era proibita ed anche menti geniali e curiose come quella di Leonardo Da Vinci pur compiendo alcune rudimentali autopsie, trovavano questa pratica disgustosa.
Datemi un cadavere e solleverò il mondo
D’altra parte trovare cadaveri da sottoporre a dissezione era tutt’altro che cosa facile, come poté constatare il belga Andreas van Wesel (1514-1564), considerato il fondatore dell’Anatomia moderna. Autore del De humani corporis fabrica libri septem, prima opera scientifica di anatomia, pubblicata nel 1543 a Venezia, da giovane dovette rubare il corpo di un assassino da una forca fuori dalla sua città, Lovanio (Louvain in francese), nelle Fiandre a est di Bruxelles.
Una sorte simile toccherà anche a William Harvey (1578-1657), primo scienziato a descrivere accuratamente il sistema circolatorio umano e le proprietà del sangue pompato dal cuore in tutto il corpo. Per approfondire i suoi studi fu costretto a dissezionare i cadaveri del padre e della sorella.
A Gabriele Falloppio (1523-1652), medico, anatomista e naturalista italiano (da cui prendono il nome le cosiddette tube di Falloppio) fu addirittura consegnato un criminale ancora vivo con l’istruzione di ucciderlo prima di aprirlo per completare le sue ricerche. Falloppio si premunì di sopprimere il criminale attraverso una “caritatevole” overdose di oppiacei prima di dissezionare il corpo.
Ladri di corpi
I criminali costituivano la fonte principale di corpi offerti per la conoscenza scientifica. In Gran Bretagna gli impiccati per omicidio erano distribuiti alle scuole di Medicina locali per la dissezione, ma i corpi non bastavano mai. Questa “penuria” portò ben presto alla nascita di un lucroso mercato nero dei cadaveri. I corpi venivano trafugati nottetempo nei cimiteri e poi rivenduti a medici, ospedali, istituti di ricerca che li utilizzavano a scopi di ricerca o accademici.
Molte persone vivevano nel terrore che i corpi dei loro cari o i loro, una volta deceduti, potessero essere trafugati e poi smembrati. Forse il caso più conosciuto di questo terrore che mescolava convinzioni religiose, superstizioni e paura della morte, appartiene all’irlandese Charles Byrne (1761-1783). Byrne era, all’epoca, l’uomo più alto d’Europa e forse del mondo, con i suoi 2 metri e 30 centimetri. Sapeva che questo record rendeva il suo scheletro estremamente appetibile per gli anatomisti e in particolare temeva l’anatomista e collezionista John Hunter. Medico britannico vissuto in pieno diciottesimo secolo, Hunter compì numerosi importanti studi nei campi della biologia, dell’anatomia, della fisiologia e della patologia.
Per sfuggire alla sorte dei “cacciatori di cadaveri” il gigantesco Byrne predispose un piano che prevedeva che alla sua morte la bara venisse portata al largo delle coste e li inabissata. Il gigantesco irlandese però fu tradito dal comandante della nave, che corrotto da Hunter, consegnò il suo corpo al medico inglese che lo dissezionò a poche ore dal decesso. Le lunghe ossa di Byrne sono rimaste appese per decenni in una teca dell’Hunterian Museum del londinese Royal College of Surgeons.
Il Parlamento inglese dice basta
Con il passare degli anni e il proliferare delle scuole di medicina il problema di recuperare per fini accademici e sperimentali corpi umani si aggravò ulteriormente. Per avere un’idea del problema, a Londra nel 1831, c’erano circa 900 studenti di medicina che avevano a disposizione soltanto 11 corpi. Si può quindi immaginare come il lucroso e macabro affare del trafugamento dei cadaveri dai cimiteri londinesi fosse diventato così eclatante da indurre il Parlamento britannico a promulgare nel 1832, l’Anatomy Act, una legge che inaspriva le pene per chi trafugava cadaveri dai cimiteri o da case di cura.
In compenso la legge consentiva agli istituti di medicina e di ricerca di prelevare il cadavere di chiunque morisse povero nei ricoveri, incrementando in maniera considerevole l’offerta di cadaveri. Questa nuova disponibilità aiuterà la scienza a migliorare considerevolmente gli standard di conoscenza e precisione dei manuali di medicina e anatomia.
Grey’s Anatomy, pardon, Gray’s Anatomy
Henry Gray
E ha proposito di manuali il più celebre trattato di Anatomia della storia della medicina, viene scritto nel 1858 a Londra, il suo titolo è Anatomy: Descriptive and Surgical conosciuto già all’epoca come Gray’s Anatomy, dall’autore Henry Gray. Non sfuggirà al lettore che l’autrice televisiva Shonda Rhimes, si sia ispirata al famoso trattato di anatomia per trovare il titolo della sua fortunata serie tv, Grey’s Anatomy.
Gray era un giovane e brillante assistente di anatomia del St. George’s Hospital di Londra quando decise di avviare un ambizioso progetto: realizzare la guida anatomica più precisa e moderna del tempo. Nato nel 1825 o 1827, già all’età di 25 anni divenne membro della prestigiosa Royal Society. Nel 1856 si accinse a questa opera monumentale, per alcuni versi ancora ineguagliata, insieme al collega Henry Vandyke Carter, che oltre ad essere anch’egli medico e anatomista era un valentissimo illustratore.
Gloria e ripicche
Carter realizzò non solo i 363 disegni, ma anche quasi tutte le dissezioni preparatorie. Il suo fu quindi un contributo che andò oltre le bellissime e precise illustrazioni ma Gray si comportò meschinamente nei suoi confronti. A progetto completo, il libro contava 720 pagine e 363 illustrazioni, il libro, che pesava 1,45 kg, aveva il titolo “Gray’s Anatomy” in grassetto lungo il dorso, e sotto recava la scritta “Descriptive and Surgical” con il nome degli editori, “John W. Parker and son” in basso.
La prima versione della copertina, realizzata dai Parker, prevedeva i nomi di Gray e Carter in caratteri di uguali dimensioni, ognuno seguito da una didascalia più in piccolo recante i titoli di studio conseguiti da ciascuno; ma Gray, nel tentativo di prendersi il merito del lavoro di Carter e delle sue tavole, voleva che il nome del collega fosse scritto in caratteri meno evidenti dei suoi, eliminando inoltre le qualifiche accademiche che gli erano state apposte.
Ahi, duro Fato!
Alla fine il brillante ma meschino Gray la spuntò e si appropriò della gloria di questa opera monumentale, che però non poté godere appieno, tre anni dopo la pubblicazione del suo trattato, a soli 34 anni, nel 1861, Gray moriva a causa del vaiolo.
Carter fu decisamente più fortunato. Nell’anno dell’uscita del libro si trasferì in India, dove risiedette per trenta anni, diventando docente di anatomia e fisiologia (e in seguito preside) del Grant Medical College. Quindi ritornò in Gran Bretagna e precisamente a Scarborough, sulla costa dello Yorkshire settentrionale, dove morì di tubercolosi nel 1897. Di li a poco avrebbe compiuto sessantasei anni.
Fonti:
alcune voci di Wikipedia
Bryson, Bill. Breve storia del corpo umano: Una guida per gli occupanti