sabato, Maggio 18

I mercanti e la società medioevale

La professione del mercante non ebbe la stessa considerazione per l’intera Età di Mezzo. Nel basso Medio Evo la Chiesa guardava con sospetto questa categoria di imprenditori anche per lo stretto rapporto che intrattenevano con il denaro, alla pari degli usurai, dei cambiavalute, dei notai e dei doganieri.

Tra tutti i mestieri però il maggior pregiudizio riguardava proprio il mestiere del mercante, accusato di guadagnare senza produrre (apparentemente) niente. Accusato di speculare sul tempo, sul denaro, di viaggiare troppo e di essere di fatto quasi un apolide, il mercante si riscatterà definitivamente soltanto negli ultimi secoli del Medio Evo. Una parte dei pregiudizi sul ruolo dei mercanti proveniva dal mondo antico.

Secondo la visione più diffusa il lavoro, per essere considerato tale, doveva produrre la trasformazione di un bene in un altro per mezzo della fatica. Ora, poiché le energie che il mercante spendeva come intermediario tra produttore e consumatore non comportavano alcuna trasformazione visibile, egli era considerato un imbroglione, un truffatore e anche un falsario: rivendeva, cioè, un bene a un prezzo più alto del suo reale valore senza aggiungervi apparente fatica e il suo compenso, in quanto non derivato dal sudore, non era giustificato.

A questo si aggiungeva che spesso i commerci erano patrimonio di specifiche etnie (ebrei, fenici, siri etc.) che spesso venivano etichettati come avidi ed usurai. Uno dei princìpi cardine della mentalità medievale era che il tempo fosse di Dio, non dell’uomo. Ragion per cui chi vi specula usandolo per guadagnare come mercanti ed usurai era stigmatizzato duramente. Alle soglie del Medioevo il mercante, soprattutto in provincia, era un uomo libero, ricco e dedito alla vita civile e politica all’interno dei consigli cittadini.

Ma con le prime invasioni barbariche il momento d’oro del mercante sembra terminare: egli è tenuto a vendere le derrate all’esercito a un prezzo calmierato, ma i coltivatori e i produttori in tempo di crisi aumentano i prezzi, riducendone i margini di guadagno. I negotiatores, sempre più in difficoltà, vanno in perdita e finiscono quasi per scomparire. Torneranno prepotentemente alla ribalta con la ripresa dei traffici seguita alla rinascita delle città e alle crociate. Con il passare del tempo però la considerazione sociale del mercante iniziò a cambiare in positivo sia per fattori legati all’indiscutibile utilità dei loro commerci, tanto più importanti per le comunità quando ad esempio garantivano gli approvvigionamenti in tempo di guerra o di carestia, quanto per le generose donazioni sia alla Chiesa che alle città.

Essi diventarono così importanti da organizzarsi in corporazioni ed arti e diventare parte dell’elite economica e sociale delle città cercando il riscatto nelle buone opere (elemosina, fondazione di ospedali e monasteri) e nel mecenatismo. E arrivando addirittura, a conquistare il potere. Uno dei casi più emblematici fu la conquista del potere a Firenze nel 1434 di Cosimo il Vecchio, appartenente alla potente famiglia di mercanti e banchieri dei Medici.

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