domenica, Aprile 28

Il calcio sotto il vulcano

La notizia è di pochi giorni fa, la Premier League accusa uno dei team più forti d’Europa, il Manchester City di oltre 100 violazioni delle regole finanziarie. I capi d’accusa sono raccolti in un dossier di ben 735 pagine. La società di proprietà dell’Abu Dhabi United Group del principe emiratino Mansur bin Zayd Al Nahyan rischia pesanti sanzioni, fino all’esclusione dal più prestigioso e ricco torneo del calcio mondiale. Le contestazioni riguardano un periodo che va dal 2009 al 2018 a cui si aggiunge secondo l’atto di accusa della Premier, una deliberata e continuativa attività di ostacolo alle indagini che il club di Manchester ha attuato proprio a partire dal 2018.

Il caso Italia

In Italia la Juventus in seguito ad un inchiesta della magistratura ordinaria sulla falsificazioni dei bilanci societari attraverso il cosiddetto sistema delle plusvalenze fittizie è stata sanzionata dalla giustizia sportiva con ben 15 punti di penalizzazione in campionato. Gli effetti dell’inchiesta hanno portato all’azzeramento dell’intero Consiglio di Amministrazione e per la squadra bianconera i guai non sono finiti perché un’altra inchiesta penale, quella sulla cosiddetta manovra stipendi, potrà riverberarsi con ulteriori sanzioni anche in ambito sportivo.

La Juventus non è però l’unica squadra su cui si focalizzano i riflettori della magistratura. La Procura di Napoli ha da poco chiesto la proroga di ulteriori sei mesi per l’espletamento delle indagini che riguardano alcune zone d’ombra dell’ingaggio del centravanti della squadra partenopea Victor Osimhen, contratto per il quale gli inquirenti ipotizzano il reato di falso in bilancio.

La situazione del calcio italiano, al netto dei casi oggetto di inchieste e sanzioni sportive è indubitabilmente da allarme rosso. Nel suo complesso è altissimo l’indebitamento delle società, soltanto con il fisco il calcio italiano è esposto per 500 milioni. In testa a questa non lusinghiera classifica troviamo Inter – 50 milioni di euro, Lazio – 40 milioni di euro, Roma – 38 milioni di euro, Juventus – 30 milioni di euro, Napoli – 25 milioni di euro, Fiorentina – 15 milioni di euro, Milan – 10 milioni di euro. Sarebbero quelle di Torino, Lazio, Sampdoria e Verona le situazioni più a rischio.

L’assoluta mancanza di liquidità del sistema è plasticamente rappresentato dall’andamento del mercato di riparazione invernale finito pochi giorni fa. La Premier League inglese è di gran lunga la lega che ha speso di più con 834 milioni di euro spesi, mentre la Serie A, non entra neppure nella Top Ten, con un mercato praticamente immobile dove le nostre “big” Juventus, Milan, Inter e lo stesso Napoli, che sta dominando il campionato, non hanno praticato concluso alcun affare.

Mal comune, mezzo gaudio?

In Francia, anche il Paris Saint Germain di Messi e Mbappé è finito sotto inchiesta della Procura di Parigi che ha aperto un’indagine per “lavoro sommerso e non dichiarato”. La denuncia è stata emessa dall’ex consigliere del presidente che ha lavorato per il club tra il 2015 e il 2018.

Anche in Spagna la situazione è tutt’altro che tranquilla per il calcio. Basti osservare la spaventosa situazione debitoria del Barcellona che nell’ultimo bilancio pubblicato, relativo alla stagione 2020/2021, aveva registrato una perdita di 481 milioni di euro e un indebitamento complessivo pari a 1 miliardo e 150 milioni di euro. Si tratta di un indebitamento spaventoso che avrebbe condotto alla bancarotta qualunque altro club che non gode della protezione degli apparati federali spagnoli. Per cercare di salvarsi da questa autentica voragine debitoria il Barca ha iniziato a vendere asset fondamentali con una manovra che tende ad una parziale sostenibilità a breve termine, ma che rischia di ipotecare il futuro del club in modo irreversibile.

Un sistema che non regge più

Inchieste della magistratura, crisi finanziarie dei grandi club, penalizzazioni sportive sono soltanto la punta dell’iceberg di un movimento che per troppi anni ha operato ignorando i principi basilari delle sostenibilità finanziaria tipici di una qualsiasi attività economica. L’irruzione di cospicui incassi dai diritti televisivi così come quelli di proprietà extra europee, arabe e americane in primis, lungi da apportare un cambiamento significativo nella gestione dei club, hanno finito paradossalmente per rappresentare un ulteriore elemento di distorsione del sistema.

Il gap tra competitività sportiva e sostenibilità economica si è allargato a dismisura. Adesso non sono più soltanto le piccole società a non reggere il confronto sportivo con la ristretta oligarchia dei top club europei ma anche le squadre una volta “grandi” e adesso declassate ad un ruolo di comprimarie, italiane in testa, non sono più in grado di competere ad armi pari con i dieci-dodici club, la metà dei quali inglesi, che hanno acquisito un’incontrastata posizione dominante. D’altronde chi può permettersi di assicurare un ingaggio triennale di 636 milioni di euro come quello percepito dall’attaccante francese Mbappé al PSG? Nessuno.

La domanda è però un’altra, senza oscure sponsorizzazioni e un’opaca opera di ingegneria finanziaria neppure il Paris Saint Germain dello sceicco al-Khelaïfi potrebbe permettersi un’operazione così decisamente fuori mercato. Troppo timidamente la UEFA ha cercato negli ultimi anni di imporre delle regole di sostenibilità economica del calcio europeo, oggi possiamo dirlo con ragionevole certezza, il Fair Play finanziario della massima istituzione del calcio europeo, si è rivelato un sostanziale fallimento.

Il blitz della Superlega

Il malessere che scuote il movimento calcistico si è tradotto un paio d’anni fa nel tentativo maldestro di un gruppo di top club di dar vita ad un Superlega in grado di assicurare la posizione di predominio sportivo e al contempo un’implementazione delle risorse finanziarie a disposizione per una dozzina di club europei capitanati da Real Madrid, Barcellona e Juventus.

Un’operazione concepita male, che faceva strame del merito sportivo e rientrata con la sconfitta dei club “dissidenti” che hanno guidato questa sorta di secessione calcistica. I problemi alla base di questo tentativo di dar vita ad un’altra “Champions League” sono tutt’ora sul tavolo, tanto che ancora oggi, la A22, la società che muove i fili della Superlega, ha lanciato questa mattina i dieci principi che faranno da cardini per un torneo del futuro. Tutto ciò nell’attesa che la Corte di Giustizia dell’Unione europea si pronunci nel mese di marzo sul tema del monopolio della UEFA nell’organizzazione delle competizioni calcistiche nel continente.

La Superlega è la strada giusta?

Il nocciolo della questione rimane però, più che fondare un nuovo torneo in competizione con la UEFA, elemento che sarà per l’appunto chiarito a marzo dal pronunciamento della Corte di Giustizia Ue, quello di rifondare il calcio europeo sulla base di pochi ma chiari criteri di buonsenso:

  • non spendere più di quanto si incassa in una stagione
  • distribuzione più equa dei ricavi extra, come i diritti televisivi, con una maggiore attenzione per i piccoli club e i vivai giovanili
  • introdurre un salary cap per evitare ulteriori distorsioni del sistema
  • intervenire sul sistema delle plusvalenze che hanno drogato i bilanci societari circostanziandole con regole chiare e controlli severi
  • riformare il calcio mercato, attualmente dominato dai procuratori, studiando la possibilità di introdurre, almeno parzialmente, un sistema che si ispiri al Draft della NBA statunitense. ll  Draft NBA è un evento annuale attraverso il quale le trenta squadre di basket USA selezionano i 60 migliori giovani giocatori in arrivo dai college o da altri campionati, secondo un ordine di scelta (detto “pick”) ben definito. Le prime 14 scelte vanno alle squadre che hanno mancato l’accesso ai Playoff nella stagione precedente, quindi quelle che non rientrano nelle sedici migliori della lega. In questo modo si cerca di preservare per quanto possibile la competitività sportiva di tutte le franchigie. Il calcio dovrebbe ispirarsi ad un principio del genere se vuole che la partecipazione del pubblico sia ampia e diffusa oltre le aree metropolitane e non si allarghi ulteriormente la forbice della competitività sportiva tra i club europei.

Senza affrontare di petto e urgentemente la riforma complessiva del sistema si rischia un implosione del “giocattolo” e il calcio nazionale ed europeo rischia di essere travolto da una crisi senza precedenti.

Foto di Michal Jarmoluk da Pixabay

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