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Il Consiglio dei Dieci

Il più potente e poliedrico organo di governo della Repubblica di Venezia viene istituito dal Maggior Consiglio il 10 luglio 1310 come organo di repressione del tentativo insurrezionale Tiepolo-Querini volto ad instaurare un principato nella città lagunare.

Repressa la rivolta viene costituito questo speciale “tribunale” per gestire gli strascichi della congiura e la chiamata in giudizio dei ribelli. Il suo mandato inizialmente è molto breve, deve concludere i suoi lavori entro il 29 settembre dello stesso anno. Il perdurare del clima di incertezza politica porterà ad una serie di proroghe che nel 1311 sfocerà in un’estensione del suo mandato di ben cinque anni.

Il 20 luglio 1335 il Consiglio dei Dieci, nato come risposta emergenziale ad una grave crisi politica di Venezia diviene un organo permanente che accompagnerà la storia della Repubblica fino ai suoi ultimi giorni. Su quest’organo che con il passare del tempo assumerà una serie enorme di competenze e poteri si alimenterà una “leggenda nera”, seconda soltanto forse, a quella dell’Inquisizione cattolica.

Certamente ad alimentare questa sinistra fama contribuirà la segretezza con cui il Consiglio dei Dieci operava, ma in realtà la peculiarità di quest’organo risiede soprattutto nella variegatissima diversità dei compiti e delle funzioni, che, da commissione inquirente nei confronti di un tentativo insurrezionale, diventa via via tribunale permanente con giurisdizione su tutta una serie di reati politici e non politici, organo di polizia, centrale di controspionaggio e di difesa interna e anche assemblea politica e organo legislativo.

Nel corso dei secoli la classe dirigente veneziana interverrà più volte per arginare i crescenti poteri di quest’organo, impedendo che esso diventi l’esclusivo arbitro della vita politica e legislativa della Repubblica. Una caratteristica inusuale per i primi secoli della sua istituzione, fu la puntigliosa applicazione del Consiglio dei Dieci di un corposo nucleo di regole legalitarie nell’istruzione dei processi.

Un complesso di garanzie per gli imputati come non si riscontra nel resto d’Europa. Il Consiglio, che a dispetto del nome, era costituito da 17 membri (ai dieci infatti si univano il Doge ed i sei consiglieri dogali) per esaminare le denunce pervenute ed aprire un’istruttoria formale adottava una prima votazione, che, nel caso si trattasse di denunce private, esigeva maggioranze molto elevate: quattro quinti per le denunce firmate, cinque sesti addirittura per le denunce anonime, nei confronti delle quali si esigeva una seconda votazione successiva con una maggioranza di quattro quinti.

La sentenza di rinvio a giudizio veniva decisa sulla base delle proposte formulate dai componenti del Consiglio e prevaleva quella che raccoglieva il maggior numero di voti; la mancanza di numero legale, o, nel caso in cui fosse stata presentata una sola proposta, la mancanza di una maggioranza assoluta comportavano la nullità del procedimento. La sentenza finale, poi, veniva decisa anch’essa da una votazione,

Lo stesso procedimento veniva seguito per le pene proposte, si votavano tutte quelle suggerite, una per una e quella più votata doveva essere confermata da quattro successive votazioni. Completavano questo corpo di garanzie per gli imputati l’obbligatorietà di pubblicizzare sia i documenti difensivi che le sentenze e la presenza, in aggiunta ai diciassette, di almeno uno dei tre avogadori di Comun, magistrati che avevano tra le loro prerogative quella di intromettere, cioè sospendere e impugnare, i processi dei Dieci.

Il Consiglio dei Dieci è stato allo stesso tempo, dal punto di vista politico e legislativo, la chiusura del patriziato come classe dominante della città lagunare ma allo stesso tempo l’organo più intransigente contro le soperchierie che i nobili veneziani commettevano contro la gente comune.

Nel primo caso fu il guardiano occhiuto ed inesorabile nei confronti dei tentativi di alcune grandi famiglie di patrizi veneziani con velleità di trasformare la Repubblica in un Principato o una Signoria e dall’altro si applicò strenuamente a difendere dagli abusi quotidiani coloro che della classe patrizia non facevano parte.

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto le cronache riportano le numerose condanne a carico di nobili colpevoli dei più svariati abusi, piccoli e grandi nei confronti della gente comune.

Dalle norme che vietavano ai nobili gli eccessi di velocità a cavallo nelle Mercerie e in altre strade di Venezia prima che i quadrupedi ne sparissero definitivamente, alle sentenze severissime contro nobili esportatori, cioè rapitori, di ragazze, a quelle contro i patrizi che insultavano i portieri.

Il servizio di spionaggio e controspionaggio gestito dal Consiglio dei Dieci, anche attraverso una vastissima rete di spie, era una delle competenze più importanti per la sicurezza nazionale di uno stato che in terraferma si era pochissimo allargato, rispetto alle mitiche origini del Doge Paoluccio Anafesto ed era circondato da nemici potenti e determinati a contrastarne l’egemonia politica e commerciale nel Mediterraneo.

Fonte:

La Repubblica del Leone di A.Zorzi

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