venerdì, Maggio 17

Il dramma dei prigionieri italiani della Grande Guerra

La prima guerra mondiale o come viene più comunemente definita la Grande Guerra è stata un crogiuolo insuperato di crudeltà e nefandezze che hanno riguardato tutti i belligeranti, nessuno escluso. Anche l’Italia ha partecipato a questo triste primato, grazie anche ad uno dei suoi più discussi e controversi protagonisti, Luigi Cadorna, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, con poteri quasi assoluti dal 1914 al 8 novembre 1917, quando su pressione degli Alleati, Vittorio Emanuele lo sollevava dall’incarico in seguito alla disfatta di Caporetto.

Cadorna aveva sempre avuto un atteggiamento sprezzante nei riguardi dei soldati italiani, in larga maggioranza di estrazione contadina, utilizzandoli come carne da macello durante le sue undici offensive insensate sull’Isonzo. Questo atteggiamento inumano, contrastava con la provata fede cattolica (ogni giorno andava a messa) di questo reazionario generale che odiava tutta la classe politica, socialisti in testa.

D’altra parte egli si riconosceva nella figura tipo del soldato italiano secondo la definizione del medico e francescano, Agostino Gemelli:

La miglior qualità del soldato nella guerra di massa e di lunga durata è appunto l’assenza di ogni qualità: l’essere rozzo, ignorante, passivo. Solo così è possibile appieno quella trasformazione della sua personalità che lo rende capace di adattamento alla trincea e all’assalto, che fa di lui un materiale altamente manipolabile, un perfetto pezzo della macchina bellica. […] Il soldato cessa di essere padre, marito, cittadino, per essere solo soldato

Se questo era l’assunto non può stupirci come Cadorna praticasse massicciamente fucilazioni e decimazione, carcere duro e terrorismo psicologico, convinto come era che il recalcitrante e “pavido” soldato italiano dovesse aver più paura delle conseguenze della sua “codardia” che della morte in battaglia.

Non stupisce quindi che Cadorna, coperto dal Governo, emanò la disposizione di non assistere i prigionieri di guerra italiani in mano austriaca che verso la fine del 1917 raggiungevano la cifra di circa 600.000 soldati. Per capire l’empietà di questa decisione, che sopravvisse anche al defenestramento di Cadorna, occorre avere un quadro della situazione sociale dell’ultimo biennio di guerra in tutta Europa e soprattutto in Austria.

Nell’impero asburgico ormai in fase avanzata di dissoluzione si moriva letteralmente di fame. Gli effetti del lungo blocco navale decretato dall’Intesa aveva portato al collasso le forniture alimentari degli Imperi Centrali. A parte un po’ di rape e patate la popolazione civile non aveva niente da mangiare.

Nella primavera del 1918 la disponibilità pro capite di farina era ridotta a 100 gr. al giorno, ma in alcuni casi scese a 15-17. Prima della nuova mietitura le popolazioni di quel territorio vissero solo di ortaggi, erbe selvatiche, foglie d’alberi, farina ricavata dai gusci secchi dei fagioli e dai torsi del mais.

In questo contesto la sopravvivenza dei prigionieri di guerra dipendeva dalla fornitura di cibo e vestiario, attraverso i canali della Croce Rossa Internazionale, dello Stato e dei parenti dei soldati prigionieri. L’Italia però si rifiutò di provvedere direttamente alla sussistenza dei suoi prigionieri con il dichiarato intento di distogliere i soldati al fronte da ogni tentazione di resa.

La truppa doveva sapere che arrendersi significava andare incontro alla morte per fame. La sola deroga riguardava gli ufficiali, che potevano ricevere soccorsi attraverso la Croce rossa. Ma anche queste spedizioni vennero sospese dopo Caporetto e durante la battaglia del Piave.

La condizione di vita dei soldati italiani nei campi di concentramento austriaco erano durissime: fame, freddo e malattie causarono un tributo di vittime enorme, circa 100.000 prigionieri italiani morirono nei lager austriaci. Le sofferenze dei prigionieri italiani non si esaurirono con la fine del conflitto. Bloccati alle frontiere, furono rinchiusi in campi di concentramento poco diversi da quelli austriaci, sorvegliati a vista dalla giovane leva della classe 1900. Cinquecentomila italiani trattati come nemici della Patria che dovranno attraversare un ulteriore odissea prima di essere accolti da una nazione ingrata.

Il rifiuto dello Stato italiano di aiutare nella prigionia i propri soldati e i cinici atti di sabotaggio per vanificare l’opera della Croce Rossa e la premura delle famiglie costituiscono, ancora oggi, una vergogna indelebile nella storia recente della nazione.

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