Ottone Orseolo, terzo figlio del doge Pietro II Orseolo e di sua moglie Maria Candiano, salì al potere a poco più di 15 anni, egli continuava quella che si stava configurando come una vera e propria dinastia. Viene descritto dai cronisti, tanto per cambiare saggio, probo e mite ma la repressione ed il contenimento dei Croati in Dalmazia fu un azione estremamente dura e sanguinosa, alla faccia della sua presunta mitezza.
La sua posizione politica nella Venezia dei primi anni del primo millennio era tutt’altro che solida nonostante godesse dell’appoggio del fratello Patriarca. La mentalità veneziana era poco incline alla formazione di dinastie di potere e gli Orseolo ormai da troppi anni erano visti come coloro che volevano trasformare il dogato in una sorta di Regno ereditario.
La prima crisi avviene quando il Patriarca di Aquileia Poppone, che di ecclesiastico ha soltanto il titolo, mette gli occhi su Grado riesumando una vecchia polemica sulla legittimità del patriarcato veneziano sulla ricca e fiorente cittadina. Poppone esiterà a lungo nell’usare l’opzione militare conscio della forza della marina veneziana, l’opportunità gli viene offerta tra il 1023 ed il 1024 grazie ad una delle solite insurrezioni che scoppiano a Venezia e che costringono Ottone Orseolo ed il fratello patriarca Orso a fuggire in Istria.
L’attacco dei soldati aquileiesi a Grado è di una feroce spietatezza, la città fu saccheggiata e depredata con una furia che oscurava pure le incursioni saracene, quasi tutte le monache furono stuprate e ogni chiesa fu svuotata di qualunque cosa che avesse il minimo valore.
Questa ferocia però si ritorcerà contro Poppone risvegliando il senso dell’onore e dell’orgoglio nazionale nei Venetici che richiamarono dall’esilio il Patriarca Orso, schierandosi compatti al suo fianco. Poppone viene sconfitto e cacciato da Grado e sconfessato anche da un apposito sinodo convocato a Roma dal Papa.
Il Patriarca Orso gestisce quindi il ritorno del Doge in esilio, il fratello Ottone Orseolo. Il momento di tranquillità di Ottone dura circa un anno, nel 1026 una nuova sommossa popolare capeggiata dal capo dell’opposizione Domenico Fabiano o Flabianico lo costringe nuovamente alla fuga. Flabianico fa eleggere Doge una figura anonima, tale Pietro Barbolano Centranico che però è estremamente facoltoso e che dovrebbe svolgere la funzione di uomo di paglia del Centranico.
Nel frattempo l’imperatore del Sacro Romano Impero Corrado di Franconia molto amico di Poppone esige ed ottiene dal Papa la convocazione di un nuovo sinodo per il riesame delle pretese di Poppone. Orso, il Patriarca Veneziano comprende che il verdetto è già scritto e non si presenta nemmeno, viene quindi spogliato dal Pontefice della dignità patriarcale.
Grado viene dichiarata semplice pieve della diocesi di Aquileia. Ancora una volta questa prevaricazione accese lo spirito di indipendenza dei Veneziani che sotto la guida del loro Patriarca cacciarono in esilio in Grecia Pietro Centranico dopo averlo costretto a prendere i voti monastici.
L’imperatore Corrado non ebbe il coraggio di intervenire militarmente perchè sospettava che i Veneziani in questa vicenda avessero l’appoggio diplomatico e militare dell’altro imperatore, quello di Bisanzio, Romano Argiro cognato di Ottone Orseolo.
Orso spedì il fratello Vitale, vescovo di Torcello, perché rimandasse Ottone a Venezia. Ma Ottone era molto malato. Né le potenti parentele, né l’ondata di favore popolare suscitata dall’inettitudine di Pietro Centranico potevano far più nulla per lui. Morì, infatti, in viaggio, nel 1032, all’età di 39 anni e suo figlio Pietro preferì il soggiorno in Ungheria, dove, di lì a poco, sarebbe diventato re.
Nel caos che seguì un certo Domenico Orseolo, di cui si sa soltanto che era un lontano parente del Doge morto, si impossessò del dogato ma riuscì a mantenere il potere soltanto per un giorno ed una notte, prima di essere costretto a fuggire a Ravenna.
L’epoca degli Orseolo era definitivamente finita.