sabato, Luglio 27

La fisica di Aristotele

Dopo aver succintamente esaminato La logica di Aristotele, La politica di AristoteleL’etica di Aristotele in questo  post  affronteremo in modo altrettanto non esaustivo la sua concezione della  fisica.  

L’impianto teorico  della fisica aristotelica si basa  su due libri strettamente  collegati fra loro, la Fisica  e il De Coelo. Entrambi  ebbero una  profonda (e negativa) influenza sulla scienza almeno fino ai tempi di Galileo. Per comprendere  la  teoria fisica di Aristotele  è  necessario immergersi nel retroterra culturale dei greci dell’epoca. Per un  contemporaneo  di Aristotele un oggetto volante  non poteva che essere dotato  di poteri magici. La stessa teoria meccanica era di fatto osteggiata ed  ignorata a parte  qualche genio isolato come Democrito o Archimede. Due  specie di fenomeni  sembravano davvero importanti: i movimenti  degli animali e quelli dei corpi celesti.

Per i Greci i movimenti dei corpi celesti differivano da  quelli degli animali  per la loro regolarità indice  della loro  perfezione.  Inutile sottolineare  come  questa  convinzione fosse strettamente connessa alla concezione antica che sole  e  luna fossero  veri e propri dei.

Ed anche quelli che successivamente non consideravano più  i corpi celesti come entità divine non potevano non  ammettere  che essi fossero mossi da un Essere divino dotato di quell’amore  per la semplicità geometrica tipicamente ellenico.

La fisica in Aristotele è quella  scienza  che i Greci chiamano phusis una  parola  che si traduce con il termine natura ma che ha un concetto piuttosto diverso da quello che oggi attribuiamo a questa  parola. Phusis ha in se il  concetto di sviluppo,  una ghianda è destinata a svilupparsi in una quercia. Questo  è il senso della parola natura  in versione aristotelica.

La natura di una cosa, dice Aristotele, è il fine per il quale quella cosa esiste. La natura è all’origine sia del moto che  del riposo. La natura è nella  forma piuttosto che nella  materia. Questa interpretazione della  natura divenne un grande  ostacolo allo sviluppo della scienza per decine di secoli. 

In questo primo  libro, Fisica, poi Aristotele passa ad esaminare il concetto di tempo.  Egli  sostiene che ad una prima analisi il  tempo potrebbe non esistere in quanto è fatto da passato e futuro, ed il  primo non c’è più mentre il  secondo deve ancora accadere. Ma non è cosi sostiene il  filosofo di Stagira, il tempo è moto che ammette  una numerazione.  

Il tempo non può esistere senza l’anima giacché non ci può essere niente da contare se non c’è qualcuno che conta, ed il tempo appunto  ammette la numerazione. Nel secondo trattato De Coelo Aristotele espone una teoria semplice ed elegante.

Le cose  sotto la Luna sono soggette a nascita e decadimento, quelle  sopra la Luna sono increate ed eterne. La terra che  è sferica è  al centro dell’Universo (da notare che già nel  IV secolo avanti  Cristo si era  perfettamente consapevoli della sfericità del globo terrestre). Nella sfera  sub lunare tutto è costituito dai quattro elementi: terra, aria, acqua e fuoco. Un quinto elemento è invece responsabile della generazione dei corpi celesti. Il movimento del quinto elemento è circolare  e quindi i cieli sono perfettamente sferici e le regioni  superiori  sono più divine di quelle  inferiori.

Una  grande rappresentazione poetica  di questa struttura aristotelica la  ritroviamo praticamente intatta nella Divina Commedia di Dante.

Come  abbiamo più  volte scritto all’interno di questo post la teoria fisica aristotelica costituì un grave  fardello  per lo sviluppo della scienza moderna, Galileo, Copernico e Keplero dovettero combattere contro gli  aristotelici del tempo quasi  con la stessa intensità di confronto della Chiesa  cattolica che osteggiava  l’affermarsi della realtà scientifica.

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