sabato, Maggio 18

Le origini della Guerra del Peloponneso Ep. 1

La guerra del Peloponneso fu un conflitto quasi trentennale, dal 431 al 404 a.e.v., che vide contrapposte le due più importanti polis greche, Atene e Sparta, ciascuna con la propria coalizione. Le cause di questo conflitto interminabile sono molteplici, una di queste è da ricercarsi nella volontà espansionista di Atene, guidata dall’ambizioso Pericle (495-429 a.e.v.).

Il trattato del 445

Le tensioni tra i due schieramenti si erano composte in un trattato trentennale firmato dalla Lega di Delo condotta da Atene e la Lega peloponnesiaca guidata da Sparta nel 445 che suddivideva le rispettive aree d’influenza e stabiliva il diritto di ogni polis di aderire liberamente ad una delle due coalizioni. Per mantenere saldo il regime democratico ateniese evitandone le frequente lacerazioni interne e perseguire il disegno di leadership sull’intero territorio greco, Atene però ruppe il trattato unilateralmente dando il via alle ostilità.

Il casus belli fu colto ad arte da Pericle che accettò la richiesta di aiuto di Corcira (l’attuale Corfù) impegnata in un conflitto contro Corinto. Quando quest’ultima, la polis più influente dopo Sparta della lega peloponnesiaca, si trovò di fronte all’isola di Corcira una flotta ateniese fu costretta a battere in ritirata. L’episodio innescò un aumento della tensione tra i due schieramenti ma fu tre anni dopo che una gratuita provocazione ateniese fece deflagrare definitivamente il conflitto.

La provocazione di Pericle

Pericle impose un embargo alla città di Megara, attraverso il cosiddetto Decreto Megarese: con tale atto Atene escludeva i commercianti di Megara dal mercato ateniese e degli alleati, devastandone l’economia e allo stesso tempo violando apertamente le clausole della pace dei trent’anni senza alcuna giustificazione.

Sparta però, consapevole delle difficoltà logistiche che presentava una guerra contro la rivale, esitava e soltanto nell’inverno del 432-431 a.e.v. lanciò un ultimatum ad Atene che Pericle fece in modo fosse respinto. Nonostante questo palese atto di sfida i lacedemoni (così erano chiamati gli abitanti di Sparta) esitarono ancora prima di ordinare l’invasione dell’Attica.

Tebe rompe gli indugi

Ci penserà Tebe a spingere definitivamente la situazione verso il conflitto armato, attaccando con circa 300 uomini, nel marzo del 431 a.e.v. la filoateniese Platea. L’attacco si risolse in un clamoroso insuccesso e nel massacro di una parte consistente del contingente tebano. A questo punto Sparta non potè esimersi dall’intervenire attivamente nel conflitto, e spinse l’esercito peloponnesiaco forte di oltre 24.000 opliti nell’istmo di Corinto. La Lega Tebana, alleata dei lacedemoni metteva in campo altri 10.000 uomini, grazie ai rinforzi provenienti dalla Focide e dalla Locride.

Le forze terrestri di Sparta e Tebe erano enormemente superiori a quelle di Atene (13.000 opliti e 1.000 cavalieri) che però poteva contare su una netta supremazia navale. La strategia era piuttosto chiara, la Lega Peloponnesiaca si riprometteva di invadere l’Attica e metterla a ferro e fuoco, considerando improbabile riuscire a spingere gli ateniesi in una grande battaglia campale risolutiva.

Gli ateniesi, e Pericle in particolare, puntavano invece a far muovere a vuoto gli avversari rimanendo protetti dalle Lunghe Mura, dopo aver evacuato l’Attica, per poi colpirli con operazioni anfibie mediante la flotta, che poteva portare la guerra fin nel profondo meridione peloponnesiaco e incidere altrettanto duramente sull’economia rurale avversaria.

La “fortezza” Atene

Pericle era fiducioso che Atene e il Pireo che formavano un unico complesso protetto da mura, un’immensa fortezza nel cuore dell’Attica, in grado di accogliere tutti gli abitanti del territorio, chiamato Lunghe Mura avrebbe accolto tutti i profughi dell’Attica scacciati dalle devastazioni spartane. I necessari rifornimenti di viveri sarebbero giunti via mare, grazie alla potente flotta ateniese.

Il vecchio re di Sparta, Archidamo II era ben consapevole di queste difficoltà e per questo aveva cercato fino all’ultimo di convincere il Consiglio della Lega Peloponnesiaca a non precipitare verso la guerra, ma la sua posizione si ritrovò in minoranza. Dopo un mese di devastazioni di uliveti e campi di grano, senza alcun contatto con il nemico, Archidamo II fu obbligato a ritirarsi per la scarsezza di vettovagliamento di un esercito così numeroso.

LA GUERRA DEL PELOPONNESO

Le azioni militari ateniesi furono molto più incisive. Una flotta imponente formata da 150 navi (100 di Atene e 50 di Corcira) diede vita ad una serie di incursioni lungo le coste del Peloponneso e nel golfo di Corinto danneggiando gravemente l’economia di molti villaggi e conquistando la cittadina di Egina. Lo stesso Pericle guidò personalmente un’azione nella Megaride, in autunno, mentre i peloponnesiaci erano occupati con la vendemmia e i raccolti.

Il sovraffollamento di Atene

Le fosche previsioni del vecchio re di Sparta avevano trovato una dura conferma. La strategia di Pericle di incoraggiare la fuga degli abitanti dell’Attica, accogliendoli in Atene, fece lievitare la popolazione ad oltre 200.000 persone che trovarono sistemazioni di fortuna che andavano da capanne improvvisate ai piedi dell’Acropoli ai santuari, dalle torrette lungo le mura agli spazi aperti.

La calura soffocante della città, situata in una conca ad 8 km dal mare metteva a dura prova la fibra della popolazione. La scarsità di acqua dolce, inoltre, rendeva difficoltoso lo smaltimento dei liquami per l’assenza di un fiume che attraversasse la città e ne permettesse l’espulsione in mare. La situazione igienica diventava sempre più precaria, giorno dopo giorno. Nondimeno il primo anno di guerra questa strategia aveva portato i frutti sperati.

L’anno seguente, nel 430 a.e.v., gli spartani invasero nuovamente l’Attica mentre Pericle partiva con la flotta e quattromila opliti alla conquista di Epidauro. Un nuovo ed imprevedibile nemico però sconvolgerà i loro piani.

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