Sai Jill, mi ricordi mia madre. Era la più grande puttana di Alameda e la donna più in gamba che sia mai esistita. Chiunque sia stato mio padre, per un’ora o per un mese è stato un uomo molto felice. (C’era una volta il West).
I giudizi sulle prostitute si prestano a visioni del mondo del tutto contrastanti, secondo Bataille la donna in quanto oggetto del desiderio è la prostituta nel senso più nobile del termine: una cortigiana.
Il cinema ha invece scelto da sempre il concetto più dispregiativo, quello della puttana vittima patetica e sconfitta da circostanze avverse più grandi di lei. Nei classici di Mizoguchi (1898-1956) La vita di O-Haru – Donna galante (Saikaku ichidai onna) (1952) e La strada della vergogna (Akasen chitai) (1956) prevale una lotta tragica tutta al femminile. In Accattone (1961) e Mamma Roma (1962) di Pasolini le prostitute sono l’espressione quasi iconografica del sottoproletariato urbano.
In Questa è la mia vita (1962) di Jean Luc Godard si prende spunto da un’inchiesta giornalistica per tracciare un profilo archetipo delle donne di vita. In Belli e dannati (1991) di Gus Van Sant entrano in scena due prostituti che si vendono indifferentemente ad uomini e donne, in un’interpretazione on the road del mestiere più antico del mondo. Il film che è una libera interpretazione dell’Enrico IV di Shakespeare si avvale oltre che di Keanu Reeves anche degli attori River Phoenix e Rodney Harvey che finirono nel tunnel della tossicodipendenza e morirono per overdose rispettivamente nel 1993 e nel 1998.
Non manca, come nella migliore tradizione di Hollywood, anche la versione favolistica dove la puttana veste i panni della novella Cenerentola come in Pretty Woman (1990) dove Julia Roberts marcia inarrestabilmente verso il lieto fine con il pigmalione milionario Richard Gere.