venerdì, Maggio 17

L’enigma del caso Graziosi

Siamo nel primissimo dopoguerra, esattamente il 20 ottobre 1945. Una famiglia piccolo-borghese composta da Arnaldo Graziosi, musicista della RAI, sua moglie Maria Cappa e la loro bambina di tre anni, Andreina, lascia Roma per un breve periodo di vacanza a Fiuggi, presso la pensione “Villa Igea”.

Dopo cena i coniugi vanno al cinema per vedere “Ombre Rosse” il capolavoro di John Ford. Rientrano in albergo verso mezzanotte e la notte passa tranquilla, fino a qualche minuto prima della sette di mattina. Arnaldo Graziosi irrompe nella portineria sostenendo che la moglie si è suicidata sparandosi. Graziosi ed il portiere corrono in camera e cercano di rianimare la donna ma non c’è niente da fare.

La donna ha la tempia trapassata da un proiettile ed una pistola giace poco distante dalla mano sinistra. Ai Carabinieri che intervengono sul posto il marito mostra una lettera di Maria che recita:

«Quando leggerete queste righe il mio martirio sarà finito. Troppo a caro prezzo sto pagando la sola leggerezza della mia vita. Per mia figlia, per quelli che mi amano io debbo andarmene. Ora sono stanca mortalmente: basta con tutto. Desidero che quelli che mi conoscono non sappiano di questo e abbiano sempre un buon ricordo di Maria».

Il testo criptico non fornisce molti elementi agli inquirenti che però notano subito alcuni fatti strani: il primo, la distanza che pare eccessiva tra la pistola e la mano della donna, il secondo che il marito quando era corso ad allertare il portiere era vestito di tutto punto, in giacca e cravatta, come se fosse sul punto di dover uscire.

Graziosi diventa l’indiziato numero uno quando si apprende per altro dalla sua bocca che la situazione tra lui è Maria era piuttosto tormentata. Il portiere dell’albergo rivela inoltre che subito dopo il tragico evento il marito ha fatto una telefonata a Roma.Gli inquirenti scopriranno che il Graziosi ha chiamato una collega pianista alla RAI, Anna Maria Quadrini che secondo le voci che circolano nell’ambiente ha una relazione con il marito della vittima.

Nel corso delle indagini viene appurato da una perizia calligrafica che la lettera di “addio” della Cappa è scritta proprio di suo pugno ed emerge un altro fatto che getta una luce ancora più ambigua nel rapporto di coppia dei due coniugi. Maria non era giunta vergine al matrimonio fatto importante per la mentalità dell’epoca ma Graziosi, innamorato della donna, era passato sopra alla tardiva rivelazione.

Poi, quando la moglie è incinta, salta fuori che è affetta da sifilide, di conseguenza anche Arnaldo e la figlia la contraggono. Tale situazione ha un effetto devastante per il rapporto tra i due coniugi che via via si allontanano sempre di più. Potrebbe essere questo senso di colpa ad aver portato al suicidio la donna?

La perizia balistica però non trova traccia dell’alone che un colpo sparato a bruciapelo inevitabilmente lascia intorno al foro d’entrata e rimarca l’eccessiva distanza tra la mano e la pistola.

Il 17 luglio 1947 si apre il processo a carico dell’unico indiziato: il marito presso la Corte di Assise di Frosinone. Come in tutti i casi controversi la pubblica opinione si divide: per alcuni Graziosi è un mostro, per altri una vittima innocente.

Una delle questioni centrali del dibattimento è il problema della sifilide, accusa e difesa si giocano questa carta nel tentativo una di aumentare lo scarso paniere probatorio a carico di Graziosi e l’altra di alimentare la teoria del senso di colpa di Maria. Viene ascoltata anche la presunta amante di Graziosi, Anna Maria Quadrini che di fatto lo scagiona, affermando che il loro era un amore platonico di cui l’uomo non sapeva niente.

Il portiere dell’albergo, Filetici, cambia versione ed afferma di aver tolto lui l’arma dalle mani della donna esanime nel tentativo di rianimarla. Le prove a carico del marito sono poche e tutte indiziarie, nonostante questo il 29 novembre del 1947 Arnaldo Graziosi viene riconosciuto colpevole di uxoricidio e condannato a 24 anni di reclusione, sentenza confermata in appello e successivamente dalla Suprema Corte di Cassazione.

Qualche giorno prima del Natale del 1948 Graziosi riesce ad evadere dal carcere di Frosinone ma la sua fuga non dura molto, viene arrestato sulle pendici del monte Tre Confini, a oltre 1700 metri, nell’area di Alatri. Al rientro in carcere l’uomo ammetterà di aver compiuto una sciocchezza causata dalla disperazione di un innocente ingiustamente incarcerato.

Passeranno molti anni prima che i parenti della vittima accetteranno di controfirmare la domanda di grazia che il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, gli concederà il 6 agosto 1959. Graziosi potrà riabbracciare i suoi cari e ricostruire il rapporto con Andreina, la figlia quindicenne, che ha sempre creduto alla sua innocenza.

Il dubbio che l’uomo sia stato vittima di un errore giudiziario aleggerà negli anni a venire e segnerà comunque la vita di Graziosi. Tornato sulle scene musicali con un certo successo negli anni Sessanta,  lavorerà spesso anche per il cinema: collaborando in qualità di pianista alle colonne sonore di film come Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) di Pier Paolo Pasolini, e Al di là del bene e del male (1977) di Liliana Cavani.

Graziosi si toglierà la vita gettandosi dalla finestra della propria abitazione, all’età di ottantatré anni il 6 marzo 1997.

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