giovedì, Maggio 2

Lo scandalo Montesi

Il 9 aprile 1953, Wilma Montesi una giovane che conduce un’esistenza tranquilla ed ordinaria, esce dalla sua abitazione di via del Tagliamento 76 a Roma dove abita con i genitori e la sorella Wanda. Non tornerà più a casa. Il suo corpo viene rinvenuto due giorni dopo sulla spiaggia di Torvaianica.

Sarà un delitto che non soltanto rimarrà impunito ma sul cui sfondo aleggerà uno scandalo che avrebbe potuto travolgere una parte della classe politica democristiana che all’epoca governava incontrastata il paese. Alle 17 circa di quel 9 aprile di 69 anni fa, Wilma Montesi esce di casa con l’intenzione di recarsi ad Ostia per effettuare un bagno terapeutico ai piedi, sofferenti di una forma di eczema.

Il corpo viene rinvenuto intorno alle 7.30 dell’11 aprile, ad una quindicina di chilometri dalla sua presunta meta, nella spiaggia di Torvaianica. Il cadavere è privo della gonna, delle scarpe, delle calze e del reggicalze. In prima istanza si pensa ad un suicidio ma l’ipotesi investigativa non regge, la ragazza ha 21 anni, da tutti è giudicata come una giovane tranquilla e felice che sta per sposarsi con un poliziotto in servizio alla questura di Potenza.

Quindi il caso Montesi viene archiviato come una disgrazia. Questa “tranquillizzante” archiviazione però dura lo spazio di poche ore. Il giorno del funerale di Wilma la famiglia riceve una lettera anonima, in cui lo sconosciuto mittente afferma che la ragazza sarebbe stata uccisa da uno spasimante respinto. Inizialmente non si da molto credito a questa strana lettera. Poi a circa un mese dalla sua morte, il quotidiano napoletano «Roma» scrive che Wilma sarebbe stata vista, una decina di giorni prima del tragico 9 aprile, nei pressi di Torvaianica in compagnia del «figlio di una nota personalità politica governativa».

Il giorno dopo, il 5 maggio 1953, un settimanale satirico, “Il merlo” pubblica una vignetta che raffigura un piccione viaggiatore che trattiene un reggicalze nel becco. Allusiva la didascalia che recita: «Dopo tutto le note personalità cui allude il “Roma” non sono poi tante e non possono nemmeno sparire senza lasciare tracce come i piccioni viaggiatori>>.

Sarà soltanto il preludio di una campagna stampa che punterà il dito sulla conduzione delle indagini affrettata e superficiale. Non ci vuole molto per capire quale è il bersaglio delle allusioni giornalistiche e delle maldicenze, si tratta di un potente esponente democristiano: Attilio Piccioni. Nei mesi successivi al delitto Piccioni è in forte ascesa, dopo  la bocciatura alla Camera dell’ottavo governo De Gasperi (28 luglio 1953), viene incaricato dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi di formare il nuovo governo.

Arrivato ad un passo dalla formazione del governo,  il PSDI si sfila dall’accordo di coalizione e Piccioni deve rinunciare all’incarico. Il 6 ottobre 1953 dalle colonne di «Attualità» parte un attacco alle indagini sulla morte della Montesi, di fatto il giornale accusa che la frettolosa archiviazione del caso è stata fatta per non coinvolgere nelle indagini un’eminente personalità.

Altri giornali riprendono la vicenda che si gonfia a dismisura ma soltanto «Attualità» ed il suo direttore Silvano Di Muto vengono perseguiti per diffamazione. Nel frattempo però la Procura di Roma è quasi costretta a furor di popolo a riaprire le indagini che durano appena qualche settimana, per confermare poi l’esito di “morte accidentale” della Montesi.

Un ennesimo colpo di scena avviene nel gennaio 1954 quando si apre il processo a carico di Di Muto, il direttore dell’Attualità che fa deporre un teste a difesa della veridicità dei suoi articoli, una donna Anna Maria Moneta Caglio, frequentatrice di salotti Vip bazzicati anche da politici italiani. La donna afferma che anche la giovane Wilma Montesi era una habitué di quegli ambienti, tra i nomi che tira in causa c’è anche quello di Piero Piccioni, figlio di Attilio, vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri.

Il 19 settembre lo scandalo fu tale che Attilio Piccioni si dimise da ministro degli Esteri e da tutte le sue cariche ufficiali. Due giorni dopo, il figlio Piero fu arrestato con l’accusa di omicidio colposo e di uso di stupefacenti e poi tradotto nel carcere romano di Regina Coeli. Piero Piccioni ottenne la libertà provvisoria dopo tre mesi di carcere preventivo e, infine, venne completamente scagionato da ogni accusa, ma la carriera politica del padre fu gravemente compromessa.

Il delitto Montesi rimarrà così impunito e nel gennaio del 1957 una definitiva pietra tombale calerà sulla morte della giovane Wilma, con un gran sospiro di sollievo della classe politica di governo che per qualche anno aveva temuto di essere travolta da uno scandalo senza precedenti.

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