lunedì, Maggio 20

Misurare le distanze cosmiche

L’Universo è un luogo incommensurabilmente vasto, così sterminato da essere inconcepibile per la mente umana. Per avere un’idea della sua immensità, limitandoci all’universo osservabile stiamo parlando di una sfera con un raggio di circa 46 miliardi di anni luce. Per confronto, il diametro di una Galassia tipica è di 30.000 anni luce, e la distanza media tra due galassie vicine è invece di 3 milioni di anni-luce.

Questa premessa per comprendere come il calcolo delle distanze nello spazio è sempre stato uno degli obiettivi più importanti per gli astronomi. Stimare una distanza aiuta ad acquisire nuove conoscenze e svelare alcuni segreti dell’universo. La semplice osservazione di una stella e della sua luminosità può essere ingannevole: una stella può essere molto luminosa perché è gigantesca ma essere in realtà molto lontana, oppure essere piccola ma molto vicina (ovviamente cosmologicamente parlando). Ergo si devono usare altri mezzi per calcolare con sufficiente precisione le distanze nello spazio e nel corso dei secoli gli scienziati hanno messo a punto tre diversi sistemi.

Sfondi e oggetti

Il primo e il più antico è quello che usiamo abitualmente sulla Terra per stimare le distanze. Il principio è lo stesso. Si tratta di misurare la distanza di un oggetto rispetto allo sfondo che lo circonda che diventa il nostro punto di riferimento.
E’ un pò come se noi viaggiassimo su un’autovettura in una strada che costeggia una catena montuosa, la velocità della catena montuosa che scorre sullo sfondo ci appare più lenta della velocità con cui procede la nostra auto.
Questo metodo presuppone una matematica che sarebbe stata comprensibile anche ad Euclide (ovvero ad un uomo vissuto 2200 anni fa). E funziona anche per lo spazio, sia pure a corte distanze, ovvero finché cerchiamo di stimare la distanza di oggetti entro la nostra galassia, la Via Lattea.

È il cosiddetto metodo della parallasse che sfrutta il diverso “punto di vista” prospettico con il quale due osservatori che si trovano ad una certa distanza tra loro osservano un certo oggetto: l’osservazione si traduce in una diversa misura della posizione di questo oggetto nello spazio rispetto ad un altro riferimento molto più lontano. Sfruttando i due punti di vista più lontani di cui possiamo disporre, ovvero i due estremi dell’orbita della Terra (utilizzando una “base” di circa 300 milioni di chilometri), si riesce a misurare la “parallasse“, appunto lo spostamento apparente, delle stelle più vicine rispetto a quelle più lontane: questo angolo è naturalmente piccolissimo, ma misurabile e riesce a fornire valori accettabili della distanza fino a 200 – 300 anni luce.

Il metodo delle candele standard


Per oggetti più lontani questo metodo non funziona più e ci dobbiamo affidare ad una sorta di specialissimi radiofari, le stelle chiamate Cefeidi. Le Cefeidi sono stelle molto brillanti la cui luminosità oscilla, con straordinaria regolarità, tra un minimo e un massimo di intensità.  Gli scienziati sono riusciti a correlare questo periodo di oscillazione alla quantità di luce che emanano. Ed è tutto quello che serve per stimare la loro distanza da noi: la luce infatti si comporta come un suono che decresce man mano che si allontana dalla sua sorgente.


Fortunatamente le Cefeidi sono molto numerose e quindi ci consentono di utilizzare questo metodo con grande efficacia. Ma anche questo metodo ha dei limiti. Quando le distanze diventano davvero enormi, neppure il più potente telescopio è in grado di catturare l’immagine di una singola Cefeide distinguendola dai gruppi di stelle che le circondano. Allora entra in base il terzo metodo.

Il grimaldello della legge di Hubble


L’espediente usato è quello di applicare la legge di Hubble quando non siamo più in grado di distinguere una Cefeide da altre stelle. La legge di Hubble afferma che esiste una relazione lineare tra lo spostamento verso il rosso della luce emessa dalle galassie e la loro distanza: tanto maggiore è la distanza della galassia e tanto maggiore sarà il suo spostamento verso il rosso.
La legge si basa sull’espansione dell’universo innescata dal Big Bang solo che il ritmo dell’espansione dello stesso non quadra perfettamente. In forma matematica la legge di Hubble può essere espressa come:

z={\frac  {H_{0}D}{c}}

dove z è lo spostamento verso il rosso misurato della galassia, D è la sua distanza, c è la velocità della luce e H0 è la costante di Hubble, il cui valore attualmente stimato, in una delle sue ultime misurazioni, è attorno ai 73 chilometri al secondo per megaparsec.

Una costante…incostante

Sulle difficoltà di un’attendibile e definitiva misurazione della costante di Hubble ci vorrebbe un articolo corposo e soltanto dedicato a questo problema che arrovella l’ingegno degli astrofisici. Per comprendere la delicatezza del problema riportiamo le parole di Richard Anderson dell’Istituto di fisica dell’Epfl, in Svizzera, che ha condotto un recente studio su questo tema. Perché è importante una differenza di pochi km/s/Mpc, data la vasta scala dell’Universo?

«Questa discrepanza ha un enorme significato», afferma Anderson. «Supponi di voler costruire un tunnel scavando da due lati opposti di una montagna. Se hai capito bene il tipo di roccia e se i tuoi calcoli sono corretti, allora le due buche che stai scavando si incontreranno al centro. Ma se non lo fanno, significa che hai commesso un errore: o i tuoi calcoli sono sbagliati o ti sbagli sul tipo di roccia. Questo è quello che sta succedendo con la costante di Hubble. Più conferme otteniamo che i nostri calcoli sono accurati, più possiamo concludere che la discrepanza significa che la nostra comprensione dell’universo è errata, che l’universo non è proprio come pensavamo».

Per saperne di più:

Stelle Cefeidi

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

Media.inaf.it

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