sabato, Maggio 18

Non di solo Covid si ammala l’uomo: a che punto è l’epidemia del vaiolo delle scimmie?

Schiacciato mediaticamente dalla nuova ondata estiva di SARS-Cov-2 nella sua variante contagiosissima Omicron 5, sta passando un po’ in sordina l’andamento dell’epidemia di vaiolo delle scimmie, che per la prima volta si è decisamente diffuso fuori dai confini africani. A che punto siamo con questo nuovo potenziale pericolo?

I casi confermati di vaiolo delle scimmie hanno superato ormai quota 5.300. La maggior parte, oltre 4.100, concentrati nel continente europeo, dove Regno UnitoGermania e Spagna trainano per ora la conta dei contagi. Nonostante questo per adesso l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) non l’ha inclusa tra le Public Health Emergency of International Concern, o emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale, il livello di allerta più alto per le malattie potenzialmente pandemiche.

Questo discutibile primato per adesso spetta soltanto alla polio e a Covid19. Questa decisione ha causato qualche malumore in una parte degli esperti memori di quanto accaduto nel marzo del 2020 quando l’OMS ha esitato a lungo prima di innalzare gli allerta per la pandemia ancora in atto. Non si tratta di una malattia “nuova” come è nel caso del coronavirus che ha scatenato la pandemia di Covid19, il vaiolo delle scimmie è presente in Africa da circa cinquanta anni dove per altro circola un ceppo più letale di quello che si sta diffondendo in Europa.

I paesi occidentali hanno ignorato questo potenziale pericolo finché non ne sono stati toccati direttamente e si sono ben guardati in questo mezzo secolo di fornire ai paesi africani quell’assistenza indispensabile per circoscrivere il patogeno, che per altro come affermano gli scienziati del continente nero è decisamente mutato nel corso degli anni.

Il vaiolo delle scimmie è una malattia causata da un virus imparentato con quello del vaiolo umano, ormai eradicato dal 1980 a livello planetario. Nonostante il nome è probabile che gli animali che fungono da reservoir naturale siano i roditori, da li il virus viene trasmesso ai primati e agli uomini in caso di morsi, contatti stretti, anche di natura sessuale o altri tipi di interazione ancora non del tutto chiariti.

Esistono due ceppi di vaiolo delle scimmie, uno diffuso principalmente nel bacino del Congo che si caratterizza per una mortalità che sfiora il 10% e un secondo ceppo endemico nell’area dell’Africa Occidentale, con una mortalità che si aggira attorno all’1%. È quest’ultimo che si è diffuso in Europa e negli Stati Uniti, anche se è ipotizzabile che anche il ceppo più letale nei paesi ricchi dotati di una sanità più forte e efficiente di quella africana avrebbe un tasso di mortalità non così alto.

Il vaiolo delle scimmie nell’uomo inizia con sintomi aspecifici (febbre, mal di testa, brividi, astenia, ingrandimento di linfonodi e dolori muscolari). L’eruzione cutanea compare entro tre giorni: interessa prima la faccia per diffondersi a altre parti del corpo, mani e piedi compresi. Le lesioni cutanee evolvono in forma di papula, poi vescicola, pustola e infine crosta. Le lesioni cutanee generalmente hanno un’evoluzione omogenea, differentemente da quello che avviene, per esempio, nella varicella. Per la maggior parte delle persone, in vaiolo delle scimmie è una malattia autolimitante, che dura da due a quattro settimanecon guarigione completa.

Secondo però un report recente dell’OMS in questa epidemia la sintomatologia classica è stravolta da casi che presentano un numero contenuto di lesioni, anche fino a una sola; l’assenza di lesioni, e la presenza di dolore e sanguinamento anale; lesioni circoscritte all’aria dei genitali o a quella perianale; lesioni che appaiono in uno stadio atipico della malattia, a volte prima dell’arrivo della febbre e degli altri sintomi sistemici.

Si ritiene che al momento l’infezione viene trasmessa solo da malati sintomatici e dopo un congruo tempo di contatto. Se questa modalità di trasmissione dovesse essere confermata rappresenterebbe una un fatto molto positivo per il contenimento del contagio. Uno studio pubblicato su Nature Medicine realizzato nei laboratori dell’Instituto Nacional de Saúde Dr. Ricardo Jorge di Lisbona, ha analizzato il Dna virale prelevato da 15 pazienti infettati nel corso dell’attuale epidemia, rivelando che il virus è imparentato con il ceppo responsabile di un vasto focolaio in Nigeria nel 2017-2018 che provocò circa 700 casi, e che all’epoca aveva prodotto anche qualche caso di esportazione anche nel Regno Unito, in Israele e a Singapore.

L’elemento interessante, trattandosi di un virus a DNA, soggetto a meno mutazioni di quelli a mRNA come SARS-Cov-2, è che i ricercatori invece di riscontrare 5-10 mutazioni come i modelli indicano per un ceppo virale del 2017, ne hanno contate una cinquantina. Un numero così insolitamente elevato di mutazioni per un virus a DNA fa ritenere che in questo breve lasso di evento si deve essere verificato un evento che ha svolto la funzione di “acceleratore” di mutazioni.

Se in Occidente questa epidemia può essere contenuta, diversa è la situazione dei paesi africani alle prese con il vaiolo delle scimmie dal 1970, anno in cui fu identificato in Congo il primo caso di contagio nell’uomo. Questo virus trova terreno fertile non soltanto in Africa, anche per la ridotta capacità del sistema immunitario di mobiliarsi contro di esso, proprio a causa di una grande conquista della medicina, ovvero l’eradicazione del vaiolo umano, patogeno con il quale il vaiolo delle scimmie è strettamente imparentato.

Le nuove generazioni, non vaccinate sono quindi più vulnerabili al vaiolo delle scimmie che in Africa è da molti anni in costante aumento. Per quanto riguarda l’Italia al momento i casi accertati ufficialmente di vaiolo delle scimmie erano al 28 giugno, 159.

In conclusione si tratta di un’epidemia che va strettamente monitorata ma che per adesso non ci deve allarmare più di tanto, il rischio che l’umanità si trovi a dover affrontare due pandemie contemporaneamente al momento parrebbe escluso.

Fonti:

European Centre for Disease Prevention and Control – ECDC

wired.it

focus.it

quotidianosanità.it

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