domenica, Maggio 19

Quel drammatico 1947

La guerra era finita da un anno e mezzo e l’intera Europa era un grande cantiere materiale (per la ricostruzione di case, strade, ponti e infrastrutture) e istituzionale con la faticosa legittimazione di nuovi governi e regimi in gran parte del Vecchio Continente.

Il sollievo per la fine della drammatica guerra che aveva insanguinato per quasi sei anni il mondo si stava traducendo in una profonda disillusione causata dalle difficili condizioni di vita di milioni di persone. Il problema principale, quello dei rifornimenti alimentari, era tutt’altro che risolto. Svezia e Svizzera a parte il resto del continente registrava una carenza generalizzata di cibo.

Soltanto grazie alle riserve alimentari create dall’UNRRA ammassate nel 1946 gli austriaci riuscirono a sopravvivere nel corso di quell’anno. L’United Nations Relief and Rehabilitation Administration (UNRRA) era un’organizzazione internazionale con sede a Washington, istituita il 9 novembre del 1943 per assistere economicamente e civilmente i Paesi usciti gravemente danneggiati dalla seconda guerra mondiale, entrata a far parte delle Nazioni Unite nel 1845 e sciolta il 3 dicembre 1947.

Nella zona tedesca sotto controllo britannico la razione giornaliera di calorie scese da 1500 per persona adulta della metà del 1946 a sole 1050 degli inizi del 1947. Gli italiani nella primavera di quell’anno erano la popolazione peggio alimentata di tutta l’Europa occidentale. In Francia nei sondaggi d’opinione svolti nel 1946 in cima alle preoccupazioni dei cittadini si posizionavano le parole “cibo”, “pane” e “carne”.

Una delle cause di questa crisi alimentare nell’Europa occidentale era da ricercare nell’impossibilità di ricorrere ai granai orientali, tradizionali fornitori di cereali. Anche nell’est europa, infatti, la gente non aveva niente da mangiare. Dalla Valacchia occidentale, all’Ucraina, fino alla regione del medio Volga in URSS. siccità e magri raccolti nel 1946 crearono le premesse per una generalizzata carestia.

Le organizzazioni umanitarie raccontavano di bambini di un anno che pesavano appena 3 chili e riferivano casi di cannibalismo. In Albania gli operatori umanitari si trovarono di fronte a una situazione di “terribile indigenza“. Siccome come recita il proverbio spesso “piove sul bagnato”, l’inverno del 1945/47 fu il più freddo dal 1880. I canali ghiacciarono, moltissime strade divennero impraticabili per settimane, le reti ferroviarie furono paralizzate dal congelamento di alcuni tratti di binari.

Le scorte di carbone risultarono insufficienti sia per sostenere la timida ripresa economica sia per riscaldare le case, inoltre i già citati limiti della mobilità riducevano la movimentazione delle scorte e della produzione carbonifera. La produzione industriale che era appena ripartita subì un duro contraccolpo, a titolo esemplificativo, la produzione d’acciaio nel 1947 crollò del 40% rispetto a quella del 1946, il primo anno senza guerra.

Nel giugno del 1947 iniziò una delle estati più calde e aride dell’ultimo secolo, tanto che la produzione agricola si ridusse di 1/3 rispetto ai già magri raccolti dell’anno precedente. Per supplire alla mancanza di carbone e di derrate alimentari ci si rivolse principalmente al mercato americano che però doveva essere pagato in valuta pregiata, ovvero in dollari.

La crisi economica del 1947 aveva due principali motivazioni. La prima era la sostanziale scomparsa della Germania come locomotiva economica del continente. Prima della guerra la Germania era stato il primo mercato per quasi tutta l’Europa centrale e orientale, nonché per Olanda, Belgio e alcuni paesi mediterranei come la Grecia, che nel 1939 acquistava un terzo delle sue importazioni dalla Germania e vendeva il 38% delle sue produzioni al Terzo Reich.

Il secondo problema riguardava gli Stati Uniti. Nel 1938 il 44% delle importazioni inglesi di macchinari proveniva dagli USA e il 25% dalla Germania, dopo la guerra queste percentuali erano la prima salita al 65% e la seconda crollata all’3%. La stessa situazione riguardava tutti gli altri paesi dell’Europa occidentale. Per finanziare le importazioni americane ci volevano dollari e gli europei non avevano niente da vendere al resto del mondo per procurarseli nelle quantità necessarie.

La crisi del dollaro fu molto seria. Nel 1947 il Regno Unito il cui debito pubblico si era quadruplicato rispetto a quello d’anteguerra, acquistava dagli americani quasi la metà delle sue importazioni e le riserve valutarie si stavano rapidamente esaurendo. La Francia, il più grande importatore di carbone al mondo, aveva un debito con gli Stati Uniti pari a circa 2049 milioni di dollari. L’inflazione esplose in tutto il vecchio continente, raggiungendo il suo apice più terrificante in Ungheria dove 1 dollaro valeva 5 quintilioni di pengo. Il 1º agosto 1946 venne introdotto il fiorino ungherese con un tasso di cambio di 4×1029(=400.000.000.000.000.000.000.000.000.000) pengő. Nel momento dell’introduzione della nuova moneta il valore di tutte le banconote ungheresi in circolazione era di appena di un millesimo di cent americano.

In Germania non esisteva moneta corrente. Il baratto divenne il principale mezzo per acquisto e cessione di beni e tra i “mezzi di pagamento” più utilizzati la fecero da padrone le sigarette. A Berlino il valore di una stecca di sigarette americane oscillava tra i 65 e i 165 dollari, ciò permise ai soldati americani di stanza in Germania di spedire a casa, nei soli primi quattro mesi del 1947, 11 milioni di dollari in più di quanto ricevuto con la paga. A titolo d’esempio, in certe regioni della Germania con 600 sigarette si poteva comprare una bicicletta, mezzo di trasporto molto ambito nel primo dopoguerra.

Gli americani si resero conto ben presto della gravità della crisi europea, secondo alcuni consiglieri del Presidente USA, quell’anno l’Europa era letteralmente sull’orlo della rovina. Il timore era che le condizioni disperate nelle quali versavano decine di milioni di europei fossero ideali per la penetrazione degli ideali comunisti anche in occidente. Alcuni successi elettorali locali e i dati degli iscritti dei partiti comunisti francese (907.000) e italiano (2.250.000), molti di più che in Polonia o Yugoslavia, costituirono un forte campanello di allarme.

Per impedire una “sovietizzazione” di gran parte dell’Europa occidentale di ritorno da un inconcludente summit moscovita, un deluso Segretario di Stato George Catlett Marshall si convinse che l’America doveva fare da sola e subito per evitare il peggio. Marshall si convinse che l’Europa avrebbe avuto bisogno, almeno per altri 3-4 anni, di ingenti aiuti da parte statunitense e che, senza di essi, la gran parte del vecchio continente avrebbe conosciuto un gravissimo deterioramento delle condizioni politiche, economiche e sociali.

Il 5 giugno 1947 in un discorso tenuto all’università di Harvard veniva così concepito il  piano per la ripresa europea (in lingua originale “European Recovery Program“), entrato nella storia con il nome di “Piano Marshall”. Il Piano terminò nel 1951, come originariamente previsto e immise nell’economia europea più di 14 miliardi di dollari.

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