sabato, Maggio 18

Storia di una pandemia: Il teatrino della politica Ep. 5

Il 7 marzo 2020 viene registrato il primo caso di Covid19 a Washington, il cuore del potere degli Stati Uniti. Redfield, il direttore del CDC che ha dato pessima prova di sé nella gestione dell’insorgente pandemia constata che il contagio si era già diffuso ufficialmente in 34 nazioni diverse e che l’attuale epicentro era l’Europa con 30 paesi coinvolti.

L’epicentro dell’epicentro è l’Italia e in particolare il nord Italia. La situazione è talmente grave che pochi giorni dopo il paese sarà messo in un lungo e duro lockdown, chiudendo la breve stagione dove politici irresponsabili minimizzavano i rischi prendendo aperitivi o incontrando rappresentanti della comunità cinese in Italia.

Sull’altra sponda dell’Atlantico, il vice presidente Pence assumeva l’incarico di coordinare la Task Force anti-Covid. Il nucleo d’esperti americano produceva opinioni e strategie differenti e persino contrapposte l’una dall’altra. Il segretario Azar, l’equivalente del nostro Ministro della Salute, che fino allora si era opposto a qualsiasi seria misura di contenimento del virus, propose interventi durissimi.

So che è una proposta spaventosa per il segretario al Tesoro e altri nostri funzionari che si occupano dell’economia, ma dobbiamo anticipare la pandemia di un mese”. Con questa frase Azar poneva il dito su una questione che avrebbe costituito tema di controversi e feroci dibattiti nel corso della pandemia: salute o economia? Come molti esperti sia in campo sanitario che economico avranno poi modo di puntualizzare, si trattava di un’errata contrapposizione.

La Task Force rifletteva tutte le fazioni che si combattevano nella Casa Bianca e le riunioni erano spesso improntate a un’acredine e ad una mancanza di unità inescusabile vista la gravità della situazione. Una delle questioni spinose che veniva affrontata quasi quotidianamente era la sospensione dei voli provenienti dalle aree calde della crisi sanitaria. Migliaia di viaggiatori arrivavano ogni giorno negli Stati Uniti dall’Europa e dalla Corea del Sud, un altro epicentro della pandemia e con loro quasi certamente viaggiava il virus.

Anthony Fauci che diverrà il principale consigliere di Trump nella lotta alla pandemia, prima lodato e poi disprezzato, a secondo del vento che Trump sentiva spirava dai propri elettori, era convinto che ormai fosse troppo tardi. La Cina andava isolata già dai primi giorni di febbraio per avere delle concrete possibilità di rallentare la diffusione del contagio. Ormai si trattava di una misura dagli effetti più mediatici che concreti, insomma si chiudeva la stalla dopo che i buoi erano abbondantemente scappati.

Per sbrogliare la matassa che era diventata più un feticcio che altro, l’11 marzo Trump riunì la Task Force nello Studio Ovale della Casa Bianca insieme ad un’altra decina di persone del suo “cerchio magico“. Il dibattito divampò ancora una volta sull’impossibilità di bloccare i voli senza infliggere duri colpi all’economia americana. Il segretario al Tesoro Steven Mnuchin avvertì che il blocco dei viaggi avrebbe paralizzato l’economia americana e innescato una depressione a livello globale. In fondo i casi ufficiali registrati negli Stati Uniti fino a quel giorno erano di poco superiori alle 1.000 unità, pochi se si considerava una popolazione di oltre 330 milioni di abitanti.

I fautori del “prima di tutto l’economia” dimenticavano che il paese era sostanzialmente privo di test anti Covid efficaci e che ne venivano eseguiti pochissimi al giorno, grazie al disastro combinato dal CDC che abbiamo raccontato in un articolo precedente. Dopo un’ora, Trump che aveva un altro impegno abbandonò la riunione e invitò i partecipanti a spostarsi in un’altra sala. Si perse così proposte surreali come quella di isolare tutte le persone anziani e fragili del paese (circa un quarto della popolazione).

Cinicamente si discusse su quale tasso di mortalità era “sopportabile” per non attivare misure che avrebbero depresso gravemente l’economica del paese, uno dei membri contrari a misure troppo restrittive indicò in 60.000 decessi la soglia limite, quella di una stagione influenzale particolarmente grave. Gli fu fatto osservare che il tasso di mortalità delle complicazioni correlate all’influenza stagionale era dello 0,1%, mentre negli Stati Uniti si viaggiava già intorno al 2% e nell’Italia, il tasso di mortalità sfiorava il 7% durante quel marzo terribile.

La riunione che ormai era deragliata in un tutti contro tutti, fu interrotta dalle immagini televisive in diretta. Donald Trump, seduto alla Resolute Desk, la scrivania dello Studio Ovale stava facendo una dichiarazione. Il tycoon disse che per contrastare il “virus cinese” come avrebbe chiamato da allora in poi il coronavirus, stava firmando un decreto per sospendere per i successivi 30 giorni tutti i voli da e per l’Europa e rassicurò la popolazione che “il rischio è molto, molto basso. Le persone giovani e sane possono aspettarsi di riprendersi completamente e in modo rapido”.

Quello stesso giorno firmò anche un disegno di legge che concedeva 8,3 miliardi di dollari per aiutare il CDC e altre agenzie federali nella lotta contro il virus. Concluse l’intervento con un appello all’unità, insomma Trump sembrava essersi riscattato dopo un iniziale periodo di sottovalutazione del pericolo che incombeva sull’America come sul resto del mondo.

Come i mesi successivi dimostreranno, il volto da “statista” di Trump non durerà a lungo e il teatrino di una politica riottosa a comprendere fino in fondo le implicazioni sanitarie e sociale di una crisi globale come da decenni non si vedeva, faranno degli Stati Uniti uno dei paesi più martoriati dalla pandemia.

Le altre puntate di Storia di una pandemia

Storia di una pandemia: L’inizio – Ep. 1

Storia di una pandemia: Il colosso dai piedi d’argilla Ep. 2

Storia di una pandemia: Il CDC, crollo di un mito Ep. 3

Storia di una pandemia: Il virus in crociera Ep. 4

Fonti:

L’anno della peste di L. Wright

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