sabato, Maggio 18

Storia di una pandemia: L’inizio – Ep. 1

A due anni e mezzo dall’insorgere di una delle più gravi pandemie che il mondo abbia mai conosciuto e nel mentre si manifestano i primi segnali (da confermare nel prossimo autunno-inverno) che si sta procedendo verso l’endemia del Covid19, possiamo tracciare una prima “storia” di come si è sviluppata questa infezione che ha provocato milioni di lutti e disastri socio-economici, di quali errori siano stati commessi, del ruolo dei singoli stati e dell’OMS e della grande risposta della comunità scientifica per contenerne le conseguenze più gravi.

Con una serie di articoli, Scienza & Dintorni ripercorrerà questa storia, ancora fresca nella memoria di ognuno di noi e forse ancora in parte incompiuta, raccontando fatti, anche inediti, secondo una narrazione, depurata da tesi precostituite ed emotività.

Wuhan, l’epicentro epidemico

Tutto inizia a Wuhan, una città moderna di 11 milioni di abitanti, della provincia di Hubei, cuore della grande Cina, crocevia di ferrovie e superstrade; con l’aeroporto internazionale di Wuhan Tianhe che è un hub del sistema aeroportuale cinese, con voli diretti verso le principali città del mondo.

Il 26 dicembre 2019 all’ospedale provinciale di Hubei, specializzato in medicina integrata cinese e occidentale, la dottoressa Zhang Jixian visitò una coppia di anziani con febbre e tosse e sintomi di una polmonite atipica. Per cercare di capire qualcosa di più sull’eziologia della malattia la dottoressa convoca il figlio della coppia, soltanto per scoprire che anche lui mostra i segni di questa strana polmonite.

Zhang intuì che aveva di fronte con ogni probabilità una malattia infettiva. Quasi contemporaneamente si ammalarono con la stessa sintomatologia alcuni operatori sanitari segno che un nuovo patogeno si stava diffondendo. Per quasi un mese questo fatto non fu reso noto ai funzionari governativi, anzi le autorità sanitarie sconsigliarono al personale medico e infermieristico di indossare guanti e mascherine per non ingenerare panico tra i pazienti.

Un’ondata di polmoniti atipiche

Il 30 dicembre 2019, la dottoressa Ai Fen, a capo del pronto soccorso dell’ospedale centrale di Wuhan, constatò un flusso non comune di pazienti tutti affetti da questa polmonite atipica. Era indubbio che una nuova malattia stava circolando nella provincia di Hubei forse già da metà ottobre. Alcuni casi sembravano collegati al mercato ittico di Huanan non lontano dall’ospedale dove lavorava la dottoressa Ai.

Dieci delle 653 bancarelle offrivano animali esotici – inclusi tassi, serpenti, coccodrilli e pangolini – venduti vivi e macellati davanti ai clienti. Il mercato ittico di Huanan veniva chiamato “wet market“, mercato bagnato, perché il suolo era fradicio di una poltiglia composta da squame, sangue e acqua. Le condizioni igieniche di questi luoghi sono usando un eufemismo alquanto approssimative. Il risultato di laboratorio stabilì che il paziente della dottoressa Ai era affetto da coronavirus SARS. Quel test si sarebbe rivelato impreciso; in realtà si trattava di un coronavirus SARS sconosciuto: causava una malattia che soltanto diversi mesi dopo, l‘OMS avrebbe battezzato COVID19.

Il precedente della SARS

L’ombra della SARS terrorizzò la dottoressa Ai che ricordava bene la gestione disastrosa del governo cinese dell’epidemia esplosa nel novembre del 2002. La risposta del governo centrale cinese all’epidemia di SARS fu inizialmente quella di nascondere e poi minimizzarne la portata, dando così modo al virus di diffondersi più facilmente. Coperta dal blackout delle notizie, la SARS si diffuse in tutto il paese, e raggiunse Pechino nel marzo successivo. I medici all’oscuro di tutto non sapevano cosa fare e si trovarono esposti a rischi gravissimi.

All’inizio di aprile la SARS incominciò a ricevere minore attenzione nei media ufficiali. Tuttavia, in quel periodo stavano emergendo accuse di sottostima dei casi negli ospedali militari di Pechino. Dopo un’intensa pressione, alcuni membri del governo cinese permisero a ufficiali internazionali di investigare la situazione sul posto. Questo rivelò dei problemi che affliggevano l’antiquato sistema sanitario cinese, tra cui l’incremento della decentralizzazione, eccessiva burocrazia e rigidità, comunicazioni inadeguate.

La SARS uccise quasi il 10% delle persone contagiate. Con ogni probabilità il patogeno ha fatto il salto di specie dai pipistrelli a ferro di cavallo ad un ospite intermedio, una civetta delle palme e da qui all’uomo, quasi certamente in uno dei wet market del Guangdong. A metà aprile 2003 il contagio dalla Cina aveva raggiunto via Hong Kong, Hanoi, Singapore, Taiwan, Ulan Bator, Toronto e San Francisco. La SARS interessò con diversi gradi di gravità ben trentadue paesi nel mondo, poi grazie allo strenuo impegno dei sanitari e anche ad una buona dose di fortuna, lo stato di allarme cessò nel luglio del 2003. Il virus sembrava essersi ritirato di nuovo in qualche reservoir animale.

Nuova epidemia, stesso modus operandi

Il governo cinese per tutelare la crescita economica e per alcuni versi la stessa sopravvivenza del regime aveva fatto di tutto per nascondere alle autorità sanitarie nazionali e sovranazionali la gravità della situazione. Non deve quindi stupire che anche per SARS-Cov-2 si tentò di replicare questo disgraziato approccio omertoso. Le cose però non andarono per il verso auspicato da Pechino.

Uno dei primi a recepire il messaggio d’allarme della dottoressa Ai, fu un oculista Li Wenliang che lavorava nello stesso ospedale. In un gruppo WeChat privato Li lanciò un allarme a parenti e amici invitandoli a prendere precauzioni per questa nuova e insidiosa malattia, raccomandandogli però allo stesso tempo di mantenere riservata la notizia. Li era quasi certo che ci fosse una trasmissione da uomo a uomo del patogeno.

Il Centers for Disease Control di Taiwan, dopo aver monitorato gli allarmi e le notizie che correvano sui social network cinesi invitò l’Organizzazione Mondiale della Sanità a fare chiarezza su quanto stava accadendo nella Repubblica Popolare Cinese. L’OMS diede mandato all’ufficio locale del colosso asiatico di sentire le autorità pubbliche cinesi su cosa stava realmente accadendo e quale era la natura esatta dell’infezione.

L’ottuso attacco ai medici cinesi

La Cina non avrebbe ammesso la trasmissibilità umana per altre tre settimane, cosa che contribuì al ritardo fatale accumulato dagli altri paesi per prepararsi adeguatamente alla deflagrazione della pandemia. I superiori della dottoressa Ai, invece di ringraziarla, la censurarono duramente accusandola di aver diffuso il terrore, danneggiando al contempo la stabilità dello Stato. Ai era talmente spaventata che tornata a casa disse al marito: “Se mi succede qualcosa, dovrai prenderti cura dei bambini”. Lo stesso oculista, Li insieme ad altri otto medici fu accusato di aver diffuso voci che “turbavano in modo serio l’ordine sociale”.

Li Weinlang

Per questo fu costretto insieme agli altri a firmare una confessione e fare pubblica ammenda in televisione. Pochi giorni dopo il ritorno in ospedale contrasse il virus e morì per le complicazioni dell’infezione il 7 febbraio 2020 all’età di 33 anni. Dopo il suo decesso, il governo cinese ha dichiarato di aver aperto un’inchiesta sull’accaduto. La moglie di Li Wenliang era incinta del loro secondo figlio. Il 2 aprile 2020 Li, come spesso è consuetudine dei regimi autoritari, è stato riabilitato post mortem pienamente e dichiarato martire ed eroe nazionale.

Negare tutto, anche l’evidenza

Non soltanto il governo cinese mantenne fino a quando possibile un atteggiamento di negazione e minimizzazione del pericolo ma ordinò ai laboratori cinesi che erano riusciti a sequenziare il virus di distruggere i dati. Il 5 gennaio, un gruppo di scienziati della Fudan University di Shanghai, guidato dal professor Yong-zhen Zhang, pubblicò provocatoriamente il genoma sul GenBank, una banca dati che è parte dei National Institutes of Health statunitensi. Per ritorsione le autorità di Shangai chiusero il laboratorio di Zhang. Fino al 10 gennaio la Cina non pubblicò la sequenza genomica del virus, indispensabile per iniziare a progettare un vaccino.

Finalmente autorizzata dal governo cinese il 27 gennaio una delegazione dell’OMS riuscì a visitare brevemente Wuhan. La delegazione, che poi visitò anche Pechino, era guidata dal direttore generale, il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus.

Il governo cinese mentì probabilmente anche sui dati reali della mortalità; per esempio, il bilancio ufficiale delle vittime a Wuhan era di 2.579 (successivamente modificato a 3.869). Uno studio basato sul funzionamento a ciclo continuo dei forni crematori in quel periodo nella capitale della provincia di Hubei, stima che le vittime reali siano state circa 36.000, dieci volte più di quelle dichiarate ufficialmente.

La grande migrazione del Capodanno cinese e … del virus

L’atteggiamento di un paese afflitto da un regime burocratico e autoritario, negazionista e tutto votato alla priorità della crescita economica fece si che a Wuhan, il 18 gennaio, il tradizionale banchetto del Capodanno cinese vide la partecipazione di 40 mila famiglie, e nessuna autorità a impedirlo. Il 20 gennaio, con l’aumento del numero di morti, Zhong Nanshan, il volto più noto della comunità sanitaria cinese, confermò finalmente che il nuovo virus era una malattia trasmissibile.

Il 22 gennaio a Wuhan scattava un lockdown rigidissimo e la città veniva isolata dal resto della Cina. A quel punto quasi la metà della popolazione di Wuhan aveva già lasciato la città per il Capodanno cinese, la festività più importante del calendario, il momento in cui i cinesi tornano nelle loro città natale, visitano parenti e amici e trascorrono le vacanze. Nei quaranta giorni della durata del periodo festivo le autorità cinesi stimavano qualcosa come 3 miliardi di spostamenti. E’ forse la migrazione (temporanea) più grande del mondo e insieme a milioni di cinesi viaggiava quello sconosciuto e insidioso nuovo virus che di li a poco avrebbe travolto il mondo.

….continua….

Fonti:

alcune voci di Wikipedia

L’anno della peste di L. Wright

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