Ci sono diversi luoghi comuni sugli oggetti più misteriosi ed estremi dell’Universo: i buchi neri. Il più diffuso probabilmente è quello che questi cannibali dello spazio sono destinati ad ingoiare progressivamente tutta la materia che li circonda. Se fosse così il buco nero supermassiccio da 4 milioni di masse solari che occupa il centro della nostra galassia nel corso dei miliardi di anni di vita avrebbe facogitato l’intera Via Lattea.
Un altro timore che ogni tanto serpeggia anche sulla stampa e che al CERN si possano creare dei piccoli buchi neri di cui si potrebbe perdere il controllo mettendo a repentaglio la stessa esistenza del pianeta. Cosa sappiamo in realtà di questi straordinari ed inquietanti oggetti che popolano tutte le galassie dell’universo?
Una stella di neutroni può contenere fino a tre masse solari prima che l’attrazione gravitazionale la faccia collassare trasformandola in un buco nero. Invece di una superficie i buchi neri hanno il cosiddetto orizzonte degli eventi il confine spaziale oltre il quale la forza gravitazionale è così intensa che neppure la radiazione elettromagnetica riesce a fuggire.
Il redshift gravitazionale (da non confondersi con quello dell’effetto Doppler) ovvero lo spostamento verso il rosso della frequenza di un’onda elettromagnetica dovuto alla forza di gravità di un oggetto compatto si fa particolarmente intenso nel caso dei buchi neri. Per sfuggire alla presa di un buco nero occorre una velocità di fuga superiore alla velocità della luce e come sappiamo questo non è possibile. Ecco perché il pozzo gravitazionale di questi oggetti estremi è in grado di intrappolare tutto, compresa la luce.
Dobbiamo al matematico, fisico ed astronomo tedesco Karl Schwarzschild, la risoluzione delle equazioni di Einstein della relatività generale la cui soluzione ha permesso il calcolo del raggio che ha preso il suo nome che delimita l’orizzonte degli eventi e quindi il punto oltre il quale la forza gravitazionale è talmente intensa da intrappolare ogni cosa. Il raggio di Schwarzschild si applica ai cosiddetti buchi neri non rotanti.
Tanto per avere un’idea per ogni massa solare il raggio dell’orizzonte degli eventi misura circa 3 chilometri e se la Terra diventasse un buco nero il suo raggio sarebbe lungo meno di un centimetro (anche se non ci sono prove dell’esistenza di buchi neri di questa dimensione).
In realtà già molto prima di Einstein qualcuno aveva in qualche modo previsto questa peculiarità dei buchi neri, ovvero la capacità di trattenere perfino la luce. Si tratta di John Michell, un astronomo, geologo e fisico inglese, nato nel 1724 e morto nel 1793.
Michell concepì nel 1783 l’esperimento oggi noto come Esperimento di Cavendish; fu il primo a misurare la forza di gravità fra due corpi in laboratorio e formulò la prima misura precisa della massa della Terra e della costante gravitazionale. L’anno successivo Michell, in un saggio ipotizzò come un oggetto con una massa sufficientemente elevata possa essere in grado di trattenere la sua stessa luce (il concetto di velocità di fuga era ben noto all’epoca); teorizzò inoltre che un oggetto di questo genere (quello che, successivamente, sarebbe stato chiamato buco nero) non sarebbe direttamente visibile, ma potrebbe essere identificato tramite il moto di un oggetto compagno se parte di un sistema binario. Straordinario se pensiamo che Michell raggiunse questi risultati utilizzando esclusivamente la meccanica newtoniana.
Ma torniamo ai buchi neri. Al centro dell’orizzonte degli eventi giace quella che i fisici chiamano una singolarità ovvero un punto di volume nullo e densità infinita. Un’incredibile bizzarria della natura che possiamo solo rappresentare come la soluzione di un’equazione. Il compianto Stephen Hawking ha dimostrato che anche i buchi neri possono evaporare e lo fanno tanto più in fretta quanto più la loro massa è piccola.
Un buco nero supermassivo da un miliardo di masse solari avrebbe una vita di 10 93 ANNI!
Ancora non comprendiamo perfettamente perché alcuni buchi neri siano circondati da un anello di materia, conosciuto come disco di accrescimento in grado di emettere getti di particelle perpendicolari al piano del disco. Tutto quello che avviene dentro l’orizzonte degli eventi possiamo derivarlo soltanto matematicamente proprio perché nessun segnale è in grado di uscire da questa sorta di trappola cosmica. E certamente nessun essere umano sarà mai in grado di attraversare il labile confine rappresentato dall’orizzonte degli eventi, nel caso di un buco nero di circa 3 masse solari, circa 0,15 secondi prima di varcare questa linea immaginaria verremmo fatti letteralmente a pezzi.
Questo fenomeno viene chiamato in modo piuttosto pittoresco spaghettificazione perchè il nostro corpo sarebbe stirato in modo incommensurabile andando a schiantarsi, una volta varcato l’orizzonte degli eventi, in 0,00001 secondi contro la singolarità che costituisce il cuore del buco nero. Andrebbe soltanto un po’ meglio per un buco nero di 4 masse solare, come quello che si annida nel centro della nostra galassia, in questo caso saremmo in grado di attraversare l’orizzonte degli eventi senza grandi problemi, ma avremmo soltanto 13 secondi di vita prima di essere spaghettificati.
Nel prossimo post tratteremo di buchi neri che appartengono ad un sistema binario che presentano caratteristiche e bizzarrie non meno entusiasmanti di quelli singoli.