sabato, Luglio 27

Vivere in un U-Boot della Grande Guerra

I sottomarini  fanno il loro  esordio in un conflitto bellico nella Prima Guerra Mondiale e la loro utilità per colpire soprattutto il traffico mercantile nemico fu subito evidente. Ma come era per l’equipaggio  vivere nelle terribili condizioni di un U-Boot?

Scopriamolo attraverso le  parole  del tenente Johannes Speiss, ufficiale a bordo dell’U-9 al comando del capitano Otto Weddingen.

 Molto avanti nello scafo pressurizzato, che era cilindrico, si trovava la camera di prua dei siluri, che conteneva  due lanciasiluri e due siluri di riserva. Procedendo verso poppa si trovava l’alloggio dei sottufficiali, che conteneva soltanto piccole cuccette ed era particolarmente umido e freddo. Poi la cabina dell’ufficiale comandante, arredata solo con una piccola cuccetta e un armadio, senza scrivania. Ogni volta che si doveva caricare un siluro a prua, o si doveva preparare la camera siluri per lanciarne uno, era necessario svuotare completamente le due cabine. Le cuccette e l’armadio dovevano essere spostati nel quadrato ufficiali lì accanto, e non era un’impresa semplice considerando la mancanza di spazio di quest’ultimo. Per riuscire a destreggiarsi nel quadrato ufficiali occorreva un certo grado di abilità. La cuccetta dell’ufficiale di guardia era troppo piccola per permettergli di sdraiarsi sulla schiena: era quindi obbligato a mettersi su un fianco poi, incastrato com’era fra la paratia a destra e l’armadio a sinistra, ad aggrapparsi per contrastare i movimenti del sottomarino in navigazione. A sinistra del quadrato ufficiali si trovava la cuccetta del primo ufficiale di macchina, mentre il centro del compartimento serviva da passaggio. Ai lati, due piccoli gavoni imbottiti, fra i quali si poteva aprire un tavolino pieghevole. Due sedie pieghevoli da campo completavano l’arredamento. Mentre l’ufficiale al comando, l’ufficiale di guardia e il primo ufficiale di macchina mangiavano, gli uomini dovevano andare avanti e indietro e, ogni volta che qualcuno passava, si doveva ripiegare il tavolino. Verso poppa una paratia stagna con una porta stagna rotonda per il passaggio separava gli alloggi dell’equipaggio dal quadrato ufficiali. Su un lato dell’alloggio dell’equipaggio un piccolo fornello elettrico avrebbe dovuto servire per cucinare, ma la serpentina e il forno andavano in corto circuito ogni volta che si provava a utilizzarli. I pasti venivano preparati sempre sul ponte! Per questo avevamo un piccolo fornello a paraffina, che presentava il vantaggio di essere utilizzabile anche con vento forte. Negli alloggi dell’equipaggio le cuccette bastavano per pochi uomini, gli altri dormivano nelle amache quando non erano di guardia oppure a bordo della nave appoggio quando eravamo in porto. Gli spazi abitabili non erano rivestiti di legno. La temperatura a bordo, infatti, era notevolmente superiore a quella del mare, e l’umidità nell’aria si condensava sulle piastre di acciaio dello scafo. A ogni movimento, la condensa gocciolava in maniera a dir poco fastidiosa sul viso di chi dormiva: in realtà era come vivere in una cantina umida. Dal punto di vista igienico la distribuzione delle cuccette lasciava molto a desiderare: ti svegliavi al mattino con le narici piene di muco e la testa nel pallone.

 

 

 

 

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